Spiegate alla Boldrini che l'inferno di periferia è figlio del suo buonismo

Per Laura Boldrini le ragioni del "disastro di Tor Sapienza" son presto dette

Spiegate alla Boldrini che l'inferno di periferia è figlio del suo buonismo

Per Laura Boldrini le ragioni del «disastro di Tor Sapienza» son presto dette. Un «territorio fragile - così definisce il quartiere periferico romano - non consente alle persone di vivere in condizioni dignitose». Di più: «I territori fragili non possono essere portati all'esasperazione». Tutto questo per dire che i «rifugiati» e magari anche gli zingari che hanno piantato le tende lì dappresso non hanno responsabilità alcuna nel «disastro», del quale sono semmai le vittime. Ora, nessuno dice che Tor Sapienza siano i Parioli. È una periferia urbana e come tutte le periferie urbane non un gran bel posto per viverci. Tuttavia, i 16mila abitanti che vi risiedono, lo hanno sempre fatto in condizioni dignitose, osservando, i più, le elementari regole della civile convivenza. L'indegnità cui fa riferimento la Boldrini è sopravvenuta con l'affluire, nel quartiere, di plotoni di «rifugiati» e di «nomadi», portatori di una cultura del vivere civile poco in armonia con quella nostra. Basta sentire la gente del luogo, madri di famiglia, pensionati, studenti: droga, furti, scippi, aggressioni, vandalismi, soddisfazione dei bisogni fisiologici sulla pubblica via, sporcizia, bravate e schiamazzi di bande d'ubriachi hanno accompagnato l'arrivo dei «profughi» e lo stanziamento dei «nomadi».

Non che prima filasse tutto liscio a Tor Sapienza: ma con la presenza degli uni e degli altri le condizioni del «fragile territorio» sono diventate abiette. Insopportabili. E la gente ha detto basta. Ha detto: fuori. Colpa della politica, redarguisce la Boldrini, che «non fa ragionamenti di sostenibilità sociale». Probabile. Salvo il fatto che la sostenibilità sociale non s'ottiene, com'ella vorrebbe, con l'eccesso smodato di tolleranza e di giustificazione nei confronti dei migranti d'ogni specie, ma allontanandoli e meglio ancora rispedendoli ai relativi focolari domestici.

In quanto ai boldriniani solfeggi sulla necessità di non essere succubi del populismo antimigratorio, la risposta è venuta da Philip Hammond, ministro degli Esteri inglese: se non si cambiano e presto le leggi colabrodo, indulgenti e magnanime sull'immigrazione «la Gran Bretagna deve prepararsi a lasciare l'Unione

europea». Parole che facendo seguito alla decisione di Berlino, Londra e Parigi di ridurre i sussidi agli immigrati dovrebbero far capire alla Presidenta, ma è difficile, che quello che lei chiama populismo è solo causa giusta.

 

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