"Stop ai migranti musulmani" Caos in India: scontri e vittime

Nel mirino la legge di Modi che "sconta" da 12 a 6 anni l'attesa per la cittadinanza. Tranne che per gli islamici

"Stop ai migranti musulmani" Caos in India: scontri e vittime

Per il governo indiano è un modo per tutelare le minoranze religiose nei Paesi confinanti a maggioranza islamica. Per l'opposizione, e per i 200 milioni di musulmani presenti in India, è un atto discriminatorio. Al centro del dibattito, e delle proteste che proseguono senza sosta da sei giorni in alcune province della più grande democrazia del mondo, c'è il Citizenship Amendment Bill, emendamento alla legislazione sulla cittadinanza del 1955 proposto dall'esecutivo guidato dal primo ministro Narendra Modi, approvato dal Parlamento grazie ai numeri del partito al governo, il nazionalista Bharatiya Janata Party, e infine ratificato dal presidente Ram Nath Kovind. La nuova legge facilita la regolarizzazione dei migranti induisti, cristiani, sikh, buddisti, gianisti e parsi provenienti da Pakistan, Bangladesh e Afghanistan, che potranno ottenere i documenti indiani dopo 6 anni di permanenza nel territorio nazionale, a differenza dei 12 canonici. Tutti, dunque, tranne i musulmani. Che pure in Myanmar, per esempio, sono vittime di persecuzione.

Le proteste sono scoppiate quando ancora la legge era in fase di discussione nello Stato indiano di Assam, a Nord-Est, dove è alta la concentrazione di immigrati musulmani dal confinante Bangladesh. Ma a manifestare contro la decisione del governo Modi non sono solo le minoranze islamiche, che si sentono discriminate, ma anche gli hindu, che temono che l'emendamento porti nuove ondate migratorie dal Bangladesh e che si sentono traditi dal Bjp. A ieri sera ad Assam erano sei le vittime degli scontri, di cui almeno cinque uccisi dalle pallottole sparate dalla polizia nel capoluogo, Guwahati. Nella zona risulta al momento sospeso internet, i negozi hanno tutti da giorni abbassato le saracinesche ed è in vigore un coprifuoco a intermittenza. Proteste violente anche nel vicino West Bengala.

Ma negli ultimi giorni il malcontento ha contagiato gli studenti delle università di grandi città del Paese, da Mumbai a Calcutta, da Bangalore a Chennai e Hyderabad. Gli episodi più gravi nel campus a maggioranza musulmana della Jamia Millia Islamia, a Nuova Delhi, dove centinaia di ragazzi hanno occupato l'ateneo per protestare contro una legge che trasformerebbe gli islamici in «cittadini di serie B». Tra ieri e l'altro ieri la polizia ha caricato gli occupanti l'università, sparando lacrimogeni e, secondo alcune testimonianze tra i manifestanti, picchiando alcuni studenti. Episodi per cui oggi la Corte Suprema ha convocato un'udienza urgente. Mobilitate anche Priyanka e Sonia Gandhi, protagoniste ieri di un sit-in pacifico nella capitale.

Per il premier Modi, rieletto a maggio alla guida del Paese da 1,3 miliardi di abitanti, le proteste in corso non sono giustificabili. Su Twitter il leader del Bjp ha sottolineato che «azioni che danneggiano le proprietà pubbliche e stravolgono la vita normale non fanno parte della nostra etica», per poi tranquillizzare i musulmani: «Assicuro in modo inequivocabile i miei connazionali che la legge non avrà nessuna conseguenza su alcun cittadino indiano di nessuna religione, gli indiani non hanno nulla di che preoccuparsi».

Non proprio la stessa interpretazione che dà della legge il vicino e islamico Pakistan, il cui ministro degli Esteri, Shah Mahmood Qureshi, ha detto che «il governo Modi continua a minare i diritti delle minoranze», citando tra le altre cose la decisione di Delhi di revocare l'autonomia al Kashmir, Stato indiano a maggioranza islamica. Ma le parole più forti sono arrivate direttamente dal primo ministro pachistano Imran Khan, che ha paragonato l'India di Modi, dove «il dissenso è emarginato» e «le minoranze linciate», alla Germania nazista.

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