Si può andare, ma anche no. Lo Stato apre, le Regioni, alcune, chiudono. Le seconde case rischiano di diventare il cavallo di Troia del virus e allora i capoluoghi negano quel che Roma aveva concesso. Per primo, mercoledì sera, il governatore sardo Christian Solinas che ha firmato un'ordinanza per blindare gli appartamenti delle vacanze, se non per motivi di lavoro, salute e necessità, l'unica parte d'Italia tornata per qualche settimana alla normalità e poi ripiombata ieri nella fascia arancione. Il turismo è una delle grandi risorse della Sardegna, e pure di mezza Italia, ma nessuno vuole azzardare. Pazienza, se la Pasqua sarà a fatturato zero o quasi. D'altra parte fra divieti a raffica, hotel e ristoranti sprangati, movimenti al guinzaglio, la disputa rischia di essere più ideologica che di sostanza. Quante famiglie vorrebbero comunque mettersi in movimento?
E però lungo tutto lo stivale ragionamenti di questo tenore diventano la norma: hanno alzato il ponte levatoio anche la provincia autonoma di Bolzano, la Valle d'Aosta, la Campania. E l'effetto risiko non è finito. «Stiamo valutando - ammette il governatore del Veneto Luca Zaia - ma a oggi non abbiamo ancora deciso sugli spostamenti da fuori regione». Insomma, i veneti potranno raggiungere i loro rifugi vicino casa, per chi viene da fuori si vedrà. I blocchi sono dolorosissimi e Zaia vuole capire. Venire ad Asiago o Cortina, fra coprifuoco e limitazioni, è anche un atto di coraggio e Zaia non vuole in alcun modo tagliare il cordone ombelicale con i «forestieri» che hanno scelto il Veneto e la sua ospitalità. «Stiamo soppesando questo aspetto - insiste il numero uno della Regione - soppesandolo ventimila volte, perché sono sacri coloro che hanno eletto il Veneto come seconda terra, non faccio parte di quei colleghi che considerano i turisti un problema». E allora lo strappo è un'arma che sarebbe bene non usare. «Lo valutiamo fino in fondo con molta lucidità - insiste Zaia - siamo la Regione più turistica d'Italia».
Soluzioni facili non sono disponibili, la geografia del no è variegata e articolata. La stessa Sardegna dà disco verde a chi si presenta dopo aver effettuato il vaccino. Ma tutti sanno che gli immunizzati, fra ritardi, allarmi e polemiche, sono almeno per ora una minoranza della minoranza e certo non bastano per tenere in piedi questo pezzo di stagione. Zaia resiste, Vincenzo De Luca invece sparge divieti: fino al 5 aprile tutti i movimenti sono congelati nel tentativo di prevenire nuove, disastrose ondate dell'epidemia. «La situazione è delicata - mette le mani avanti il governatore - e qualunque processo di mobilità in più rischia di determinare un'ulteriore diffusione del contagio».
Anche la Toscana, come raccontato dal Giornale ieri, prova a rallentare i flussi: per ora con un appello al «senso di responsabilità», ma non è detto che l'invito possa bastare. Sfumature diverse: in Alto Adige il divieto di ingresso blocca solo chi parte da una Regione in zona rossa o arancione rinforzato. Ma la sostanza non cambia. Meno polemiche di prima, una politica meno urlata, però le misure non sono uniformi sul territorio nazionale. D'altra parte, ci sono situazioni obiettivamente diverse e anche i costituzionalisti giustificano questi interventi in ordine sparso.
«Tali provvedimenti sono legittimi - spiega a LaPresse Lorenza Violini della Statale di Milano - se la situazione regionale è migliore di quella nazionale, come in Sardegna, oppure più grave e la ratio è di non andare a peggiorarla. L'ideale - è la conclusione - sarebbe che a parità di dati ci fosse parità di restrizioni. Le ordinanze regionali sono legittime se ragionevolmente supportate da dati epidemiologici dello specifico territorio».
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