Ventisei milioni di cittadini chiusi in casa. Reclusi. Ai domiciliari. Gli abitanti di Shanghai, prima città per popolazione in Cina e terza nel mondo, sono sottoposti a un lockdown severissimo nel nome della politica (fallimentare) ribattezzata del «Covid zero». Politica che più che azzerare i contagi sta radendo al suolo la già limitata libertà dei cinesi. Strade deserte, famiglie rimaste senza cibo e impossibilitate ad uscire dalle loro abitazioni anche per le necessità essenziali, supermercati presi d'assalto dalla folla affamata, positivi detenuti contro la loro volontà in centri Covid che sembrano carceri. Un «disastro sanitario» di fronte al quale il mondo sembra tacere. Che fine hanno fatto quelli che, alle nostre latitudini, per quasi due anni hanno denunciato un'inesistente dittatura sanitaria? Come mai nessuno lancia petizioni, hashtag, foto e sit-in di protesta contro le violazioni dei diritti umani del regime di Pechino? Dov'è finito il fervore con il quale difendevano tutte le sacrosante libertà? Qualche sospetto, da queste parti, lo coltiviamo. Di fronte alle immagini delle «deportazioni» dei malati nella megalopoli cinese, l'idea che in Italia ci fosse una dittatura sanitaria sprofonda nel ridicolo e rimane nuda in tutta la sua pretestuosità. E, improvvisamente, chi fino a qualche settimana fa strepitava, ora ha perso le parole.
Forse anche perché molti di costoro sono passati direttamente dalla trincea No Vax a quella pro Putin. E, si sa, la fascinazione per le autocrazie è contagiosa: ci vuole un attimo ad arrivare a difendere anche il regime cinese. Il cortocircuito è perfetto.
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