Forse poteva andare meglio, ma sicuramente poteva andare peggio. La riunione tra gli oltre 40 Paesi della Nato, dell'Unione Europea ed extra-europei, organizzata a Ramstein, in Germania, per discutere del conflitto in atto si è concluso con un'unità d'intenti pressoché totale. Al di là di qualche «se» e qualche altro «ma», si rafforza il fronte comune dell'Occidente nel continuare a opporsi all'aggressione militare russa in corso ormai da quasi un anno. Con l'ottimismo che questa compattezza possa portare a una svolta se non rapida comunque decisiva. «Il pacchetto militare Usa e quelli degli alleati mostrano il nostro impegno comune a dare la possibilità all'Ucraina di andare all'offensiva e liberare i territori occupati», ha detto il generale Mark Milley, capo di Stato Maggiore dell'Esercito Usa, confermando che la guerra stia per entrare in una nuova fase: non più soltanto difesa dall'invasione ma controffensiva per riconquistare terreno e rivendicare la propria indipendenza territoriale.
Al punto che anche il nodo principale del vertice, quello relativo all'invio della Germania dei carri armati Leopard, richiesti in tutti i modi da Kiev e potenzialmente fondamentali per il conflitto, in qualche modo si è risolto. Anche se non tramite la strada più semplice. Berlino continua a nicchiare sull'invio dei moderni carri armati. «Non c'è una opinione unitaria su questa questione. La sensazione che ci sia una coalizione compatta determinata e la Germania sia un ostacolo è sbagliata», ha detto il neo ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius. Ma che la Germania sia in qualche modo accerchiata sembra più che una sensazione. Premessa d'obbligo: i Leopard sono in possesso di circa 20 nazioni, tra cui Canada, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Norvegia, Austria, Polonia, Spagna, Svezia, Repubblica Ceca, Portogallo e Turchia. Perché non possono fornirli loro a Kiev, indipendentemente dalla Germania? Perché esiste una clausola secondo cui i tedeschi, che li hanno prodotti e poi ceduti, devono dare l'ok a un eventuale trasferimento dei mezzi. E ieri, a margine dell'incontro, alcuni Paesi in possesso dei carri si sono riuniti per cercare di forzare la mano. In prima linea la Polonia e il Portogallo. Lisbona ha dato la disponibilità per l'addestramento agli ucraini mentre Varsavia è stata anche più netta: «Il sangue ucraino viene sparso realmente. È questo il prezzo dell'esitazione sulla fornitura dei Leopard. Serve azione, ora», ha detto il ministro Zbigniew Rau. Possibile, se non probabile, che i tanto agognati Leopard vengano forniti al più presto da altri Paesi che non sono la Germania con il via libero tedesco. «Non abbiamo tempo. Dobbiamo agire in fretta», aveva ribadito in mattinata il presidente ucraino Zelensky che poi, ringraziando i partner per il sostegno, ha ribadito: «Dovremo ancora lottare per la fornitura di carri armati moderni, ma ogni giorno rendiamo più evidente che non c'è alternativa».
L'accerchiamento, in ogni caso, ha dato frutti ben maturi a Kiev. Se sui Leopard il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg conferma che «le consultazioni continueranno», lasciando la porta aperta, all'Ucraina arriveranno veicoli corazzati, veicoli da combattimento di fanteria e tank da battaglia oltre a sistemi di difesa aerea, armi e munizioni. Anche dalla stessa Germania che con una nota ufficiale ha annunciato che «fornirà altre armi e attrezzature per il valore di un miliardo di euro in primavera», arrivando così a un impegno quantificato in 3,3 miliardi di euro complessivi dalla sola Berlino.
Anche l'Italia si conferma in prima linea nell'aiuto all'Ucraina. Il capo dello Stato Mattarella conferma che l'Italia «sta dalla parte di chi è aggredito e lotta per la propria indipendenza e libertà», mentre il ministro della Difesa Crosetto, da Ramstein, non ha dubbi: «Bisogna passare dalle parole ai fatti nel più breve tempo possibile», confermando che anche il nostro Paese continuerà a fornire materiale militare e civile, come gruppi elettrogeni, tende e vestiario.
Nonostante questa unità d'intenti, e al di là degli screzi più o meno superabili, pesano le parole di Milley: «Nel 2023 è difficile che l'Ucraina possa cacciare tutte le forze russe dal suo
territorio. Non dico che sia impossibile ma credo realisticamente che sia così», ha detto il capo di Stato Maggiore Usa, facendo intendere che la guerra sarà ancora lunga e per nulla semplice. Soprattutto, non solo per l'Ucraina.
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