Il primo congresso di Azione, il movimento politico fondato da Carlo Calenda, riporta la quiete tra i partiti che sostengono il governo Draghi. Dopo i due giorni di tempesta, culminati nella strigliata del capo dell'esecutivo Mario Draghi alle forze di maggioranza, accompagnata dalla minaccia delle dimissioni, Pd e Lega ritornano a predicare «stabilità e lealtà». Giorgetti e Letta si muovono all'unisono e blindano l'esecutivo da eventuali tentazioni elettorali. La novità di giornata, che giunge dal Palazzo dei Congressi dell'Eur di Roma, è però l'apertura del numero due della Lega Giancarlo Giorgetti a una futura collaborazione con Pd e Azione. Collaborazione che va costruita sul modello dell'esperienza Draghi. In sintesi: il sì al lodo Bettini.
L'esponente dem, tre giorni fa, dalle pagine de Il Foglio ha lanciato l'idea di un governo Lega-Pd anche dopo il 2023. Giorgetti non chiude, ma la prende alla larga, parlando di una collaborazione con Azione: «Non posso promettervi come ha fatto Enrico Letta che saremo insieme e vinceremo le elezioni ma sicuramente per cambiare in meglio questo Paese ci saranno grandi spazi di collaborazione». Insomma, «dire a nuora (Calenda) perché suocera (Pd) intenda». L'obiettivo è chiaro: un nuovo governo di larghe intese. È questo lo scenario tratteggiato da Giorgetti, nel suo passaggio al congresso di Azione. Che però rischia di compromettere definitivamente i rapporti con Giorgia Meloni, che venerdì alla direzione nazionale di Fdi è stata abbastanza chiara: «Vogliamo sapere se le larghe intese sono effettivamente una parentesi e se si esclude di riproporle nella prossima legislatura».
Un'opzione (larghe intese) su cui frena, ma non chiude del tutto la porta, Antonio Tajani: «Troviamo punti di convergenza per le riforme indispensabili per il Paese: fisco, giustizia, burocrazia. Poi alle elezioni ci divideremo, ma lavoriamo per il nostro Paese, per i nostri cittadini».
Lo schema, che prende corpo dal primo raduno nazionale di Calenda, è la costruzione, a partire dal 2023, di un'alleanza di governo larga, dal Pd alla Lega giorgettiana. Tenendo fuori M5s e Fratelli d'Italia: «Se dopo le elezioni del 2023 ci sarà la stessa maggioranza di oggi voglio vedere chi potrà dire: non governa Draghi, governi Michetti. Draghi non vuole fare politica, ma vuole governare», dice Calenda, ipotizzando un cambio politico (e numerico) nella compagine: Azione in sostituzione del M5S. Un progetto politico che però si scontra con le difficoltà quotidiane della maggioranza Draghi. Ecco, dunque, il secondo passaggio chiave della giornata di ieri: mettere al riparo l'esecutivo da pulsioni distruttive.
Un punto su cui il segretario del Pd Letta appare piuttosto incisivo: «Noi dobbiamo senza nessuna ambiguità ora e nei prossimi mesi portare avanti l'azione riformatrice del governo Draghi, dobbiamo farlo senza nessuna ambiguità». Il leader del Pd sposa in pieno il metodo Draghi: «Credo che sia molto importante che come metodo ci si dia quello dei temi non negoziabili e dei temi negoziabili. Cioè ci sono delle questioni non negoziabili sulle quali il governo ritiene che debba porre la questione di fiducia, ed è importante che venga posto subito questo elemento di chiarezza. E poi ci sono le questioni sulle quali si discute, di negozia in Parlamento. Quello che non è capitato nelle settimane e nei mesi scorsi credo che oggi debba diventare metodo di lavoro, cioè questa distinzione molto chiara in modo tale che ci sia la capacità delle forze politiche poi di essere in grado di interagire».
Per Giorgetti ci sono sfide che impongono scelte impegnative e impongono un governo che, non solo possa, ma che sappia decidere, che sappia lavorare e prendere decisioni con la
logica degli investimenti, che «non è una logica del breve periodo o del tornaconto semplicemente elettorale». Per Letta e Giorgetti, l'esecutivo guidato da Draghi può riprendere la marcia. Con un orizzonte nuovo: 2023-2028.
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