Stretta del Tesoro sui fondi pubblici

Arriva il decreto che obbliga le società beneficiate alla rendicontazione dei contributi

Stretta del Tesoro sui fondi pubblici
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Arriva il giro di vite del ministro Giancarlo Giorgetti (in foto) sulla gestione dei fondi pubblici destinati a società, enti, organismi e fondazioni. La bozza di dpcm, elaborata dai tecnici del ministero dell’Economia su input di in base alle prescrizioni della legge di Bilancio 2025, stabilisce i criteri per identificare i «contributi di entità significativa» e disciplina gli obblighi di comunicazione e verifica per i soggetti beneficiari.

Secondo il provvedimento, rientrano nella categoria dei contributi rilevanti quelli erogati dallo Stato o da enti pubblici non economici vigilati, per almeno un milione di euro annui o pari al 50% del totale delle entrate del beneficiario.

Esclusi invece i contributi «con finalità generali, quelli di natura corrispettiva, retributiva o concessi sotto forma di credito d’imposta».

Le nuove regole impongono un monitoraggio stringente: i soggetti erogatori dovranno comunicare entro il 28 febbraio di ogni anno l’elenco delle realtà finanziate, mentre i collegi sindacali e di revisione contabile delle società destinatarie dovranno redigere e inviare al Mef una relazione dettagliata sull’impiego dei fondi entro il 30 aprile dell’anno successivo.

Nel caso di mancata rendicontazione o utilizzo non conforme, il provvedimento prevede che l’ente possa essere escluso da futuri contributi pubblici. Inoltre, qualora gli organi di controllo non siano già esistenti, i beneficiari saranno obbligati a istituirli per garantire il rispetto delle nuove prescrizioni.

L’introduzione di una maggiore vigilanza sugli aiuti di Stato non è stata priva di controversie. Inizialmente, la bozza di Legge di Bilancio 2025 prevedeva l’inserimento obbligatorio di un revisore del Mef nei collegi sindacali delle società beneficiarie, per garantire un controllo diretto da parte del ministero. Tuttavia, questa proposta ha incontrato l’opposizione dei commercialisti e delle imprese, che hanno contestato una possibile limitazione alla libertà d’impresa e all’autonomia degli organi di controllo già esistenti.

Il Consiglio nazionale dei commercialisti aveva espresso forti perplessità sulla norma, evidenziando che l’attuale quadro normativo già prevede strumenti di vigilanza efficaci. Il presidente dell’ordine, Elbano de Nuccio, aveva manifestato «forti dubbi di legittimità costituzionale della norma e della sua compatibilità con le libertà fondamentali dell’ordinamento dell’Unione europea». Di fronte a queste critiche, il governo ha modificato la norma: l’obbligo di un revisore del Mef è stato eliminato e la soglia minima per l’identificazione dei contributi significativi è stata innalzata da 100mila euro a un milione di euro annui. Uno dei principali oppositori dell’iniziale formulazione della norma è stata Forza Italia, che ha definito la misura «sovietica». Il capogruppo alla Camera, Paolo Barelli, con i deputati Francesco Cannizzaro, Mauro D’Attis e Roberto Pella avevano sottolineato che il controllo sui contributi pubblici deve essere affidato ai revisori interni iscritti all’albo professionale, evitando un’eccessiva ingerenza dello Stato nella gestione delle imprese private.

Nonostante la revisione della norma, il Dpcm introduce comunque

un sistema di monitoraggio molto più rigoroso rispetto al passato.
L’obbligo di trasmettere una rendicontazione dettagliata renderà più semplice attuare le politiche di spending review che il Tesoro deciderà di avviare.

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