Milano. Il nome, Ibrahim Camara, in sé significa poco o nulla. «Probabilmente è solo l'ultimo di una lunga serie, quello con cui si è presentato a noi» spiega prammatico il dirigente della squadra mobile Marco Calì. E davvero non importa come si chiami veramente il clandestino 24enne di origine senegalese, in Italia dal 2014, arrestato dagli investigatori della questura di Milano come responsabile di una delle violenze sessuali più sconvolgenti che Milano ricordi.
Uno stupro messo a segno nove giorni fa, in pieno giorno, in una zona notissima, da sempre particolarmente frequentata (e senza timori di sorta) della città, ovvero il Monte Stella, la «Montagnetta» di Milano, a San Siro, un quartiere dove da sempre il binomio lusso e calcio (nella zona, conosciuta come «QT8», ovvero «Quartiere Triennale 8» c'è anche lo stadio Meazza) è praticamente connubio obbligato. Un'area che in questi giorni ha dovuto invece confrontarsi con il proprio lato oscuro - e non il «solito», quello dei quartieri delle case popolari e delle loro miserie - bensì con l'ex mercato comunale di via Isernia, la struttura da anni abbandonata e trasformata ormai in rifugio per clochard e piccoli criminali e dove è stato trovato il giaciglio di fortuna di questo stupratore. Una violenza silente, indisturbata e forse, proprio per questo, ancora più drammatica la sua, di cui è rimasta vittima una donna italiana di 45 anni che portava a spasso il cane.
A inchiodare questo ragazzo particolarmente violento, affetto da problemi di bipolarismo e che lunedì verrà interrogato a San Vittore dal gip Monia Di Marco, prove «granitiche» come le ha definite ieri l'Aggiunto che in Procura coordina il pool fasce deboli, Letizia Mannella. E tra queste la prova principe, il Dna. Il ragazzo è stato bloccato infatti, insieme ad altri quattro sbandati che come lui bivaccano nella zona, nelle ore immediatamente successive l'aggressione, quindi portato in questura, fotosegnalato, identificato, regolarmente rilasciato. I sospetti erano tutti concentrati su di lui, il cerchio sembrava chiudersi in fretta dopo che, in seguito a ore di osservazione e appostamenti, gli investigatori avevano fatto combaciare come in un teorema perfetto la descrizione fatta dalla vittima del suo aguzzino - che per fisionomia e abbigliamento ricordava in tutto e per tutto il senegalese - con l'unica traccia certa, cioè il frammento di frame ripreso da una telecamera di sorveglianza che lo inquadrava, seppur in malo modo. A completare questo incrocio di elementi mancava appunto solo il Dna, la compatibilità degli esami genetici, ma nel contempo non bisognava però mai cessare di tenere sotto controllo l'obiettivo, Camara. Perché il timore per nulla remoto - hanno ammesso ieri gli investigatori - era che quel giovane uomo potesse tornare a colpire ancora. Questo almeno era ciò che lasciava intendere la sua indole dopo che l'africano era stato fermato mesi fa, prima del Covid, con l'accusa di resistenza alla stazione dei bus di Lampugnano.
La certezza assoluta è arrivata mercoledì sera, quando la Scientifica ha comparato il Dna del 24enne con quello prelevato dal liquido seminale ritrovato sugli indumenti della vittima, che era subito stata accompagnata alla clinica Mangiagalli. Il laboratorio ha restituito una compatibilità al 100%, l'ultimo tassello che gli investigatori aspettavano. A quel punto gli agenti sono andati a prendere lo stupratore.
Lui dormiva sul suo giaciglio dell'ex mercato dietro la montagnetta di San Siro, ma aveva gli occhi aperti, sbarrati e all'arresto non ha reagito bene, ha tentato di ribellarsi. In fondo, però, quei poliziotti li stava aspettando.
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