Sui mercati la luna di miele è finita

La crescita del 2021 sarà inferiore alle aspettative. Lo avevano detto Bankitalia e l'Upb quando era ancora in carica il governo Conte e ieri lo ha ribadito l'agenzia di rating Moody's

La crescita del 2021 sarà inferiore alle aspettative. Lo avevano detto Bankitalia e l'Upb quando era ancora in carica (ma agli sgoccioli) il governo Conte e ieri lo ha ribadito l'agenzia di rating Moody's.

Colpa della terza ondata, delle misure restrittive anti covid, confermate se non rafforzate in tutta Europa. Il Prodotto interno lordo quest'anno aumenterà del 3,7%. Il 2021 non sarà quindi l'anno della ripresa come prevedeva la stessa agenzia di rating in novembre (la stima era del +5,6%) e, soprattutto, come aveva messo nero su bianco il precedente governo (+6%). Il rimbalzo viene spostato più avanti, nel caso dell'Italia con un'accelerazione del Pil al 4,1% nel 2022.

Come aveva già fatto nei giorni scorsi Standard and Poor's, anche Moody's fa uno strappo alla regola e cita il premier Mario Draghi. I fondi del Recovery fund «possono sostenere le prospettive di crescita del Paese se utilizzate in modo efficace per infrastrutture pubbliche e altri capitoli di spesa a favore della crescita». La nascita del nuovo governo «aumenta la probabilità che ciò accada», si legge nel report diffuso ieri.

La revisione al ribasso della crescita riguarda anche gli altri stati europei (l'economia della zona euro crescerà del 3,7% dal 4,7% stimato in precedenza). Ma per l'Italia il richiamo delle agenzie di rating assume un valore politico su un tema rilevante: la durata del governo.

L'asticella della crescita spostata in avanti nel tempo, l'accento di Moody's e di S&P sulla gestione dei fondi europei, sono segnali che i mercati si muovono su una prospettiva che è, come minimo, quella di fine legislatura, il giugno 2023.

Le riforme legate al recovery e l'utilizzo delle stesse risorse europee non si esauriscono con il 2022. S&P aveva sottolineato come il governo abbia «solo due anni per raggiungere i suoi obiettivi». E aveva spiegato che il rating dell'italia, per il momento non cambierà nonostante le attese su Draghi.

Il sospetto che i mercati abbiano prezzato il nuovo governo quando ancora Draghi e i ministri non avevano giurato è confermato dagli indici di questi giorni. Nella prima settimana del mese il Ftse Mib è cresciuto e il trend è continuato fino al 15 febbraio, due giorni dopo il giuramento dell'esecutivo guidato dall'ex presidente della Bce. Poi è iniziata una lenta discesa sotto i 23 punti, riconquistati ieri da Piazza Affari. Analogamente, lo spread è passato dai 102 punti di inizio mese agli 89 del 16 febbraio, poi è iniziata una lentissima risalita. Ieri il differenziale Btp Bund ha rivisto i 100 punti, per poi chiudere a 99.

Livelli molto lontani da quelli registrati durante il governo Conte (basti pensare ai 275 punti di spread del marzo 2020). Ma anche la conferma che le lune di miele dei mercati durano poco. E che i prossimi giudizi saranno sulle riforme e sulla stabilità del quadro politico.

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