Il discorso di Guterres all'Onu è stato il «liberi tutti» per dare fuoco alle polveri anti israeliane e antisemite insieme alla ripetuta imposizione russa nel Consiglio di Sicurezza di non condannare Hamas. Ieri per chiarire bene le alleanze, una delegazione di Hamas è atterrata a Mosca con una dell'Iran e una della Siria: ormai la definizione dell'asse antidemocratico prende una decisa forma internazionale belligerante. Due giorni fa, Hamas e la Jihad islamica hanno incontrato Nasrallah a Beirut, con uno scopo esplicito: come continuare la guerra a Israele.
La copertura internazionale ha fornito uno scenario all'esplosione antisemita del premier turco Recep Tayyip Erdogan che in Parlamento, fra applausi entusiasti, ha accusato Israele di sistematica eliminazione dei bambini palestinesi, l'ha accusato di attaccare «ospedali, scuole, moschee e chiese con operazioni che confinano col genocidio». Erdogan fa parte di una compagnia in cui il Qatar splende, più cauto ma più abile, e l'accompagnano schierati, gli egiziani e i giordani, in cui un'azione di continuo flirt con l'Occidente lascia uno spazio improvviso all'odio di cui sono intrisi i popoli di questi Paesi. Appare così chiaro il senso politico della dichiarazione della regina Rania di Giordania, di origine palestinese, che, certo col permesso del marito re Abdullah, ha attaccato durante un'intervista alla Cnn il presidente Biden per aver detto che «Hamas ha decapitato dei bambini», sostenendo che non ce ne sono prove. Cauto invece Mohammed Bin Salman dall'Arabia Saudita mentre sorprende il vecchio alleato di Israele Abdel Fattah al Sisi. Erdogan, invece, ha sempre odiato Israele, con intervalli strategici: ma ora che ha rifiutato di proseguire nelle sanzioni a Putin, che ha incontrato, stavolta ha deciso di collocarsi nella posizione che ritiene forte: quella di leader della Fratellanza Mussulmana, cui anche Hamas appartiene, anche per contrastare l'abilità e il doppio registro dell'altro importante leader sunnita, di Mohammed bin Addulrahaman Al Thani, visitato sei giorni fa anche dal segretario di Stato Anthony Blinken. È di ieri la notizia che adesso, nel bel mezzo della trattativa per gli ostaggi, evidentemente per elevare la credibilità del mediatore che dovrebbe riuscire nella difficile trattativa, Blinken, secondo il Washington Post, ha ottenuto dal Qatar che rivedrà i rapporti con Hamas, anche se non si parla esplicitamente di chiudere l'ufficio di Hamas a Doha, suo centro fisso di elaborazione e centro comunicazioni, e di cacciare via Ismail Haniyeh.
Il Qatar, che insieme riesce a finanziare Al Jazeera, think tank mondiali, squadre sportive, la Formula 1, e il più sanguinario gruppo terrorista del mondo Hamas, sembra adesso essere il plenipotenziario vero, non smentito da Israele, della liberazione di «buona parte», si dice, degli ostaggi. Sono 220 persone, fra cui 30-40 infanti e bambini, donne, vecchi e molti con passaporto straniero (tailandesi, americani nel numero maggiore, e altri). Si parla del rilascio di donne e bambini, le famiglie disperate premono perché si risponda alle richieste di cibo, medicine, acqua e altri beni essenziali. La trattativa però verte, sembra, sulla benzina. Gli ospedali se ne servono per la loro attività, dice il Qatar, ma è chiaro che si tratta di un bene indispensabile alla guerra. E comunque ogni aiuto finisce nelle mani di Hamas, specie se se ne occupa il Qatar. La discussione implica capziose distinzioni su chi deve essere considerato bambino (fino a 16 o a 17 anni?).
I soldati aspettano sul confine, ma agiscono con operazioni mirate in cui si raccolgono soprattutto molte informazioni per lo scopo basilare: distruggere Hamas. Né la Turchia né il Qatar persino con l'aiuto di Guterres hanno per ora spostato la decisione.
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