"Sul DC9 dibattito tardivo e sospetto. Forse è soltanto un tranello al governo"

Il membro del comitato consultivo presso la presidenza del Consiglio: "Qual è l'obiettivo di aprire proprio adesso un fronte francese?..."

"Sul DC9 dibattito tardivo e sospetto. Forse è soltanto un tranello al governo"
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«L'impostazione complessiva del ragionamento di Giuliano Amato non mi convince perché ci riporta indietro di 23 anni, prima che ci fosse il processo per la strage di Ustica». A dirlo è Gregory Alegi, membro del comitato consultivo istituito presso la presidenza del Consiglio già dai tempi di Renzi per stimolare la pubblica amministrazione a rendere più accessibili i documenti delle stragi.

La pista francese non è credibile?

«Tutti gli elementi citati da Amato sono stati vagliati e scartati in fase processuale. Questo dibattito sarebbe stato interessante nel settembre 2000 quando si aprì il processo, ma dal 2007, quando la Cassazione ha assolto tutti i militari accusati di presunti depistaggi, non può più esserlo».

Perché Amato ha espresso questa ipotesi proprio ora?

«Le dichiarazioni di Amato arrivano dopo tre articoli usciti sul Tempo, su La Verità e sul Domani. Perché si sono svegliati tutti insieme? Sembra un attacco coordinato, nato senza un motivo particolare. Credo si vogliano creare dei problemi politici al governo aprendo il fronte francese».

È curioso che a parlare di Ustica siano stati tutti esponenti ex Psi...

«È una curiosa coincidenza. Forse, si vuole creare un'opinione pubblica contraria alla proposta di legge per una commissione d'inchiesta su terrorismo e stragi dal 1959 in poi che è stata depositata dall'onorevole Mollicone».

Perché temono la commissione d'inchiesta?

«Evidentemente dà fastidio. Non so cosa temano, però, dopo ogni riunione, ci sono attacchi personali come quello che ho subìto da parte di Repubblica. Non capisco perché sostenere che sulle carte del centro Sismi di Beirut non c'è niente di interessante dato che in quei documenti si parla dei contatti tra il terrorismo arabo e quello italiano».

L'ipotesi più accreditata, dunque, è la bomba?

«C'è questa spiacevole tendenza a trasformare un fatto tecnico come la distruzione di un aereo di linea in un referendum su uno scenario politico. L'ipotesi del missile è stata respinta dal collegio militare d'ufficio nominato dal giudice perché sul relitto recuperato al 94% non ci sono tracce di impatto del missile. La bomba, invece ha creato una pressione molto forte che ha sparato fuori i motori, un qualcosa che un missile non avrebbe fatto. Questo è ciò che ha stabilito il collegio militare composto dai maggiori esperti mondiali di incidenti e dal più grande esperto di missili aerei».

E, quindi, secondo lei, la pista araba sarebbe da percorrere?

«In quegli anni il terrorismo palestinese era finanziato dalla Libia.

Tripoli potrebbe essere la mente e gli arabi sarebbero il braccio, ma fino a che non si farà un'indagine scevra di pregiudizi non si arriverà da nessuna parte. Oggi, invece, mi sembra che si sia partiti da un presunto colpevole senza avere le prove e sostenendo persino che le prove siano state fatte sparire».

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