Sulle strade perdute dell'Appia antica per ritrovare il Sud

Un viaggio lungo l'arteria principale dell'impero che da Roma portava a Brindisi. È da questo percorso che il Mezzogiorno può scoprire la sua identità

Sulle strade perdute dell'Appia antica per ritrovare il Sud

Che direbbe Antonio vedendola così? Lui che da Roma la percorse fino a Brindisi con una comitiva d'eccezione - in compagnia di Mecenate, Orazio e Virgilio - per riappacificarsi con l'altro triumviro Ottaviano. L'Appia come trama e ordito, da sempre cerniera dell'umanità, oggi è una linea che può solo resistere. Lungo le 360 miglia di ghiaia e selciati sbuca per qualche secondo e poi torna a svanire. Ma le ferite più profonde le mostra dopo Roma, fino alla fu Capua: distrutta, squarciata, interrata, asfaltata. Sventrata per ogni scopo, mai nobile. Uno schiaffo in faccia. Qualche decennio di mondo contemporaneo ha vanificato un manufatto, oggi patrimonio Unesco, che ha rivoluzionato la vita degli uomini. L'Appia è l'ombra di Artemide sul lago di Nemi, dove James Frazer ambienta l'esordio de «Il ramo d'oro». È lo scoglio di Terracina sul quale domina il tempio di Giove Anxur. È la baia tra Gaeta e Formia dove Omero fa vivere i giganti antropofagi, come scrive Paolo Rumiz. Ma è anche la via che conduce alle congreghe del malaffare, all'interesse privatistico, all'Italietta. Un manuale della storia d'Italia. La strada verso l'inferno. Tra Cisterna e Latina l'Appia nuova è costruita interamente sul terrapieno di quella vecchia: una fucilata che per 50 chilometri non si incrina mai nelle terre delle bonifiche pontine. La Regina Viarum è svanita. Nelle campagne ai due lati di tanto in tanto sbuca qualche testa. Sono tutti nordafricani e indiani. È questa una delle terre dell'agricoltura italiana. Ma è anche l'humus del caporalato più feroce: in questi campi lavorava anche Satnam Singh, il bracciante morto perché il suo datore di lavoro non lo ha soccorso dopo che era rimasto incastrato in un macchinario. È stato caricato sul furgone e accompagnato a casa, mentre il suo braccio già amputato è stato messo in una cassetta della frutta. Il motivo? Satnam lavorava senza contratto e il padrone non voleva seccature. «Potrebbe succedere tutti i giorni, qua tutti lavorano in nero», dice il titolare di un'attività incastrata tra le coltivazioni e il rettilineo. Gli schiavi li vedi ancora sull'Appia. Come duemila anni fa. Discendendo il Lazio l'antico e il moderno si fonde in un'accozzaglia che non serve a nulla: a Formia, resort esclusivo degli antichi romani, i cippi funerari tengono in piedi fragili negozietti e gli archi di un acquedotto diventano soffitti di autofficine. La devastazione del boom economico si fa più evidente sulla via Flacca, costruita senza pudore negli anni Sessanta sopra preziose ville romane tra le più belle del litorale. Anche il fascismo ha tutelato l'antico meglio dell'Italia contemporanea. L'abusivismo edilizio raggiunge il suo acme in una piccola frazione di Minturno, ultimo comune laziale prima del confine con la Campania. A Scauri il fenomeno è così diffuso che da anni piovono denunce e sequestri, ma anche parecchie sanatorie. Qui non si vedono Dickens, Goethe, Dumas padre. Non c'è spazio per l'atmosfera da Grand Tour. Oltrepassato il fiume Garigliano la nostra via mette radici in provincia di Caserta e ne racconta le sue agonie. Si fonde totalmente alla odierna Statale 7, che scorre tra colonne di pini e immense distese di campi. Ma lei non si mostra. Forse è asfaltata, forse è soffocata sotto i vigneti. Attraversa la terra degli aurunci e sfiora Suessa, l'antica città che diede i natali a Lucilio. Ci sarebbe bisogno della sua satira, in questi tempi bui. Abrasiva, etica. Ma oggi non si colpiscono i vizi umani, si fa polemica. In superficie. Un viaggio lungo l'Appia riapre le ferite di un Sud bello e maledetto, ribadisce la Questione meridionale. Strisciando nel Casertano, la strada porta a Calvi Risorta - erede fisica ma poco morale di Cales, che fu capitale maestosa della Campania Romana. Incastonata tra la via Latina e la Regina Viarum c'è un'altra Pompei ancora da scoprire: una parte è stata distrutta per costruire l'Autostrada del Sole, il resto è ancora lì sotto. Sorte beffarda: le sue fortune Cales le aveva costruite dal passaggio di due fondamentali arterie antiche, poi è finita sventrata dalla strada del futuro. E mentre tutto resta poco recintato e molto abbandonato, i tombaroli su commissione fanno il loro lavoro: per anni hanno preso i tesori delle tombe profanate, hanno asportato affreschi con motoseghe, hanno afferrato i reperti che sputa la terra. Ancora oggi le monete di Cales sono in vendita su Ebay o sul mercato nero della numismatica. Ma Calvi Risorta, oggi commissariata per infiltrazioni della camorra, vanta un secondo primato: la discarica abusiva interrata più grande d'Europa. Nel 2015 la Forestale portò alla luce un sistema criminale nascosto per oltre 40 anni. Dalla terra multicolor intorno all'azienda di vernici e ceramiche Pozzi-Ginori (chiusa negli anni Ottanta) emersero i primi rifiuti, molti arrivati dal Nord e dall'estero. Un inferno grande quanto 50 campi da calcio, dove la contaminazione aumenta con la profondità. Come in gironi danteschi. Nove anni la discarica dopo è ancora lì. Dell'Appia ci si è ormai dimenticati. Il basolame millenario non si vede da chilometri, ma riemerge appena lo fanno respirare. Nell'ager Falernus roghi tossici e prostituzione accompagnano il tragitto fino all'antica Sinuessa - oggi Mondragone. Qui la prima autostrada del mondo spunta per pochi metri tra qualche baracca nei campi, si inabissa sotto una strada asfaltata periferica che porta il suo nome e poi riemerge davanti al cimitero. «Quattro pietre», le chiamano qui per snobbarle. Alla notizia del riconoscimento Unesco tanti politici locali si sono affrettati a pubblicare fotografie di uno dei tratti di Appia antica meglio conservati della Campania settentrionale. Peccato che quel sito stia marcendo, sotto al sole cocente e in mezzo alle sterpaglie bruciate. Ci sono un cancello chiuso alla buona e le staccionate di legno logore, ma è una delle ultime prove della sua resistenza. Poi l'Appia svanisce sotto ogni sorta di scempio, legalizzato e non. Persino nell'«altera Roma» declamata da Cicerone. A Santa Maria Capua Vetere, dove finisce la prima corsa della regina delle strade, in bella mostra a raccontarne la grandezza sono rimasti solo l'Arco di Adriano e l'Anfiteatro Campano. L'antica via, come il secondo Colosseo, è stata sbudellata per costruire di tutto. E dire che da qui Spartaco guidò la ribellione dei gladiatori contro l'oppressione di Roma e diventò un simbolo eterno.

Qualche anno fa il canale americano Starz avrebbe voluto girare la serie «Spartacus» proprio nell'arena capuana, ma il contesto era troppo martoriato: si è preferito volare in Nuova Zelanda e rifare tutto in digitale. L'ultima umiliazione raccontata dalla via Appia, patrimonio dell'umanità.

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