Potrebbe sembrare che il consiglio europeo a Bruxelles si sia trasformato per un pomeriggio nel set di un film da commedia all'italiana. Con scene del tipo Totò che vende la Fontana di Trevi. Invece l'accordo che ha portato al via libera dell'avvio dei negoziati per l'adesione dell'Ucraina all'Unione europea è stato un trionfo della realpolitik. Lo scoglio, corpulento e scomodo, era solo e soltanto uno: Viktor Orbán. Come aggirarlo? Convincendolo con ogni mezzo possibile, se non a cambiare idea almeno a farsi di lato. E così è stato. Il voto all'unanimità che ha sancito il via libera a Kiev (e alla Moldavia) è arrivato quando Orbán non era in aula. Non una fregatura allo scomodo commensale. Il premier ungherese ha infatti scelto consapevolmente di non partecipare al voto e di non delegare nessun altro. Alla fine l'opera di persuasione ha funzionato. «Orbán ha lasciato l'aula in modo costruttivo e concordato in anticipo», spiega una fonte Ue. Tutti contenti, o quasi.
«È una pessima decisione e l'Ungheria non vuole partecipare a questa cattiva decisione», ha detto subito dopo la ratifica lo stesso Orbán, che più che Totò ha recitato la parte di Arlecchino. Da un lato non ha scontentato l'amico Putin, dall'altra ha ceduto alle pressioni dei leader europei che per ore hanno lavorato ai fianchi il leader ungherese con l'espressione perennemente incattivita e i modi non convenzionali. Riuscendo in un'impresa che sembrava per nulla facile. «Ci sono molte persone con grandi capacità di persuasione nella sala», aveva detto la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola a inizio giornata, con Macron, Scholz e la nostra premier Giorgia Meloni in prima linea, mentre Orbán tirava dritto. «Non c'è motivo di negoziare l'adesione dell'Ucraina adesso». Del resto mister Viktor prima e durante la guerra di invasione in Ucraina non ha mai fatto mancare il suo appoggio all'amico Vladimir. Dopo essersi messo di traverso alla fornitura di armi a Kiev e all'invio di un ingente quantitativo di fondi, era (ed è, almeno per la facciata) l'unico nell'Unione a non volere che il Paese invaso dalla Russia entrasse a far parte dell'Unione Europea. «La posizione ungherese è chiara: l'Ucraina non è preparata per l'avvio dei negoziati di adesione. È una decisione completamente insensata, sbagliata e irrazionale quella di avviare i negoziati in queste circostanze e l'Ungheria non cambierà la sua posizione. Dall'altra parte, 26 Paesi hanno insistito che venga presa questa decisione. Perciò l'Ungheria ha deciso che se i 26 lo vogliono fare, lo facciano a modo loro ma l'Ungheria ha deciso di non condividere questa cattiva scelta, per questo ha deciso di non prendervi parte», ha ringhiato a voto compiuto salvando di fatto la faccia. Comunque sia, in un certo qual modo, ha ottenuto la sua vittoria. In primis passando da leader marginale ad ago della bilancia europea, poi perché ha ottenuto (guarda un po' il caso, proprio l'altro ieri) dalla stessa Europa brutta e cattiva lo sblocco di 10 miliardi di fondi per il suo Paese che erano stati congelati.
Per il resto è un tripudio. A partire dal presidente ucraino Zelensky. In mattinata ha tenuto un discorso accorato e in parte duro in video collegamento, chiedendo ai Paesi dell'Unione di non tradire gli impegni e non fare favori a Putin. Nel pomeriggio è arrivato in Germania per una visita un po' a sorpresa al Comando dell'esercito americano in Europa di Wiesbaden. In serata ha potuto esternare la sua gioia. «Questa è una vittoria per l'Ucraina. Una vittoria per tutta l'Europa. Una vittoria che motiva, ispira e rafforza - ha scritto via social - Ringrazio tutti coloro che hanno lavorato affinché ciò accadesse e tutti coloro che hanno aiutato. La storia è fatta da chi non si stanca di lottare per la libertà». Dal presidente del Consiglio Europeo Charles Michel a tutti i leader europei dichiarazioni di giubilo.
Alla fine, l'Ue e l'Ucraina segnano una vittoria netta. Orbán non ne esce con le osse rotte. Mentre il vero sconfitto è Putin, politicamente distrutto. Sul campo di battaglia, invece, la storia sarà ancora lunga e complessa. Ma il vento, forse, è cambiato per davvero.
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