Per il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, questi pochi giorni di vacanza giungono a proposito. Alla ripresa dei lavori a fine mese dovrà iniziare a mettere nero su bianco le cifre della Nota di aggiornamento al Def (Nadef) e, soprattutto, i numeri della manovra. Il puzzle si preannuncia molto complicato.
Il Tesoro parte da disponibilità non eccelse. Ai 4,5 miliardi di scostamento 2024 votati dal Parlamento ad aprile si aggiungeranno i tagli alle spese dei ministeri (1,5 miliardi) e gli introiti della tassa sugli extraprofitti delle banche che a oggi si possono quantificare tra gli 1,2 e gli 1,5 miliardi se verrà introdotta (come auspicato dagli istituti) una deducibilità parziale della gabella. Con 7,5 miliardi inizialmente disponibili la coperta rischia di essere troppo corta.
Innanzitutto, l'ottimismo è un dovere. Se il Pil italiano non centrasse la crescita dell'1% prevista dal Def, a cascata anche le attese di deficit/Pil (al 4,5% quest'anno e al 3,7% il prossimo) dovrebbero essere riviste al ribasso e questo ridurrebbe ulteriormente i margini.
Dopodiché occorrerà guardare la lista della spesa e definire delle priorità. In primis, le spese indifferibili (incluse le missioni internazionali) che valgono 6 miliardi di euro circa. In seconda istanza, la conferma del taglio del cuneo fiscale (9-10 miliardi), richiesto a gran voce da Cisl e Uil (anche sul Giornale) e soprattutto necessario all'attuale maggioranza per presentarsi alle prossime elezioni europee con la coccarda del governo che ha tagliato le tasse sul lavoro. Circostanza richiamata anche dal premier Meloni che ha indicato tra le priorità la detassazione di premi, straordinari e tredicesime (prevista dalla delega fiscale). Se l'intenzione è concentrarsi sui salari più bassi, serviranno tra uno e due miliardi di euro.
La medesima cifra (1-2 miliardi) servirà per confermare le misure sulle pensioni già inserite nella manovra 2023, ossia Quota 103, Ape Sociale e Opzione Donna. Senza inventarsi nessuna innovazione particolare. Perché Quota 41 che piace alla Lega costa 5 miliardi all'inizio ma negli anni successivi porta la spesa ad aumentare si 9-10 miliardi annui. Impossibile con il Patto di Stabilità che l'anno prossimo tornerà in vigore.
Ci sarebbe da affrontare anche la questione dei rinnovi contrattuali della pubblica amministrazione che vale nel complesso 8 miliardi di cui la metà attinente il comparto sanità. Da un lato, la partita è ineludibile perché si tratta di 3,5 milioni di lavoratori con le relative famiglie. Il problema è che anche se gli aumenti determinano una crescita del gettito Irpef, essi producono anche una maggiore spesa per i contributi previdenziali. Dunque, occorre cautela.
Restano da valutare altri due capitoli la cui importanza è soprattutto politica. Da settembre il viceministro dell'Economia, Maurizio Leo, inizierà la stesura dei decreti attuativi della delega fiscale. L'obiettivo è di dare qualche segnale (iniziale) di taglio dell'Irpef. Un'idea potrebbe essere accorpare le prime due aliquote, abbassando al 23% quella del 25% che copre i redditi tra 15mila e 28mila euro. Costa almeno 4 miliardi poiché incide sulla fascia di reddito nella quale si ritrova una larga maggioranza dei contribuenti.
La seconda questione attiene la partenza del cantiere del Ponte sullo Stretto che sta tanto a cuore al vicepremier Salvini. Almeno 1-2 miliardi serviranno
Effettuando una semplice somma algebrica tra disponibilità (7,5 miliardi) e spese previste (34 miliardi massimi), ne consegue la necessità di reperire 26,5
miliardi. Le ipotesi sono tre: il Paese cresce più delle stime e le entrate aumentano, si tagliano le spese (incluse quelle fiscali, ignorando il possibile malcontento) oppure si aumentano le tasse. Rischiando l'impopolarità.
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