Potrebbe arrivare anche il giorno più doloroso: quello in cui i medici saranno costretti a decidere chi salvare e chi no. Scrivendo sulla cartella clinica degli esclusi: «Non intubare». E stilando delle liste.
Uno scenario da film di fantascienza ma a cui è necessario prepararsi perché, nonostante i mille sforzi per aumentare i letti di terapia intensiva, a breve potrebbe non esserci posto per tutti. Le stime parlano di quota 9mila contagi nel giro di due settimane e l'Oms denuncia la carenza di ossigeno in molti Paesi colpiti dal virus, come già capitato in alcuni ospedali delle zone critiche.
«Le previsioni stimano un aumento dei casi di insufficienza respiratoria acuta di tale entità da determinare un enorme squilibrio tra le necessità cliniche reali della popolazione e la disponibilità effettiva di risorse intensive» è la pungente premessa del documento che la società di Anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva Siaarti ha scritto per dare una guida etica ai primari che hanno da gestire un'emergenza più grande delle loro possibilità di cura. E per non lasciarli soli in una decisione così delicata e sollevarli da una parte della responsabilità nelle scelte. Anche perché può essere che si debba decidere nel giro di pochi minuti e chissà in che condizioni. Il criterio base su cui lavorare è «privilegiare la maggior speranza di vita». Bisognerà quindi tenere in considerazione alcuni parametri: la gravità della malattia, la presenza di altre patologie, la compromissione di altri organi. E, ahimè, l'età. Che significherebbe sparigliare totalmente le carte del nostro sistema sanitario che - come nessun altro al modo - cura e opera anche i 90enni che hanno una possibilità di farcela.
L'emergenza sballa ogni protocollo e costringe a una selezione. Non sarà più valido il principio secondo cui il primo arrivato è il primo assistito perché - spiega la società degli anestesisti - «equivarrebbe comunque a scegliere di non curare eventuali pazienti successivi che rimarrebbero esclusi dalla terapia intensiva». La decisione di porre una limitazione alle cure dovrà essere comunque motivata, comunicata, documentata. Anche se di fatto si nega la ventilazione meccanica al paziente, devono comunque essere garantite le cure alternative e, in caso, la sedazione palliativa. In base alle raccomandazioni di etica clinica, i criteri di accesso alla terapia intensiva andrebbero discussi per ogni paziente «in modo il più possibile anticipato» creando una lista di persone «meritevoli» della rianimazione nel momento in cui le loro condizioni dovessero peggiorare.
Come se non bastasse, c'è un altro risvolto che i medici cominciano a considerare: i pazienti non coronavirus che comunque hanno bisogno della terapia intensiva. Anche loro, a estremi mali, potrebbero pagare sulla loro pelle le conseguenze di questa emergenza. «È da considerare anche l'aumento prevedibile della mortalità per condizioni cliniche non legate all'epidemia in corso, dovuta alla riduzione dell'attività chirurgica e ambulatoriale elettiva e alla scarsità di risorse intensive». Già, perché i malati «ordinari» non cessano di esistere e hanno gli stessi diritti di quelli affetti da coronavirus. Al momento devono solo rinviare visite ambulatoriali e interventi non urgenti ma in futuro potrebbero finire nei listoni della terapia intensiva.
Si cerca in tutti i modi di
evitare il giorno in cui verrà steso l'elenco dei pazienti da salvare e da non salvare. E anche il codice etico degli anestesisti si ispira al principio che fa da slogan alla loro associazione: «Pro vita contra dolorem semper».
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