Da testimone a indagato. Quel blitz contro Mori

Lo sfregio a Falcone dei pm di Firenze: il generale chiamato nell'anniversario della strage

Da testimone a indagato. Quel blitz contro Mori
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«Io mi innervosisco di fronte alle cazz... di alcuni minus habens per cui è lesa maestà». Mario Mori è un fiume in piena contro i magistrati della Procura di Palermo con cui ha lavorato e il «un filone ideologico» dietro la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e le stragi del '93-94. Tra gli ospiti di The Mill, lo spazio di Via Cappuccio a Milano offerto a lui e a Giuseppe De Donno dall'ex senatore renziano Roberto Cociancich, ci sono quasi un centinaio di persone. Si parla del libro La verità sul dossier Mafia-Appalti, le 900 pagine che nasconderebbero il vero movente dietro le morti dei due giudici per mano dei boss, archiviate frettolosamente, risparmiando i grandi imprenditori nel Nord, vedi la Calcestruzzi spa di Montedison) legata alla maxitangente Enimont. «27 miliardi finirono anche in Sicilia», ricorda Mori. «Arrivato a Palermo trovai uno Stato sconfitto, scelsi i giovani come De Donno per fare male alla mafia. Il ministro dei Lavori pubblici di Cosa Nostra Angelo Siino gli spiegò il metodo per ricompensare tutti a carico dello Stato, «imprese nazionali e internazionali guerreggiavamo per lavori di poca importanza, con contabilità artefatte per finanziare mafiosi e politici», come la manutenzione di strade, fogne e scuole di Palermo. Due società romane facevano capo all'ex sindaco Vito Ciancimino, «lo convincemmo a collaborare ma Giancarlo Caselli non volle. Fu paracadutato in zona di guerra senza la naja, pretese che Ciancimino si dichiarasse uomo d'onore perché se non sei mafioso non sai. Ritenne non attendibile l'unico politico legato alla mafia».

Mori parla per la prima volta dopo la notizia dell'indagine a suo carico per «strage, mafia e terrorismo» per non aver impedito le stesse stragi che - secondo il processo sulla trattativa Stato-mafia - avrebbe invece scongiurato. Più che un pasticcio logico, un'infamia da cui anche l'Arma lo ha difeso con una inedita presa di posizione. «Queste accuse mi daranno anni in più da vivere». L'inventore dei Ros («intuizione di Falcone sposata da Francesco Cossiga») è nel mirino dei pm Luca Turco e Luca Tescaroli della Procura di Firenze. «A giorni andrò lì, non posso dire altro». A una domanda del Giornale Mori ci confessa il vero oltraggio. Era stato convocato per il 23 maggio, l'anniversario di Capaci. «Era stato sentito sette mesi fa come persona informata sui fatti», rivela De Donno.

Il generale con un eloquio mellifluo ma tagliente attacca Antonino Di Matteo («Dice che la Cassazione non ha volutamente valutato le prove sulla nostra colpevolezza») e Roberto Scarpinato («Parlò a Borsellino del dossier, ma oggi nega»). O come Vittorio Teresi, uno dei suoi accusatori: «Dopo la morte di Falcone davanti al tribunale disse che la mafia aveva vinto, andava preso a calci». Persino Giuseppe Pignatone: «C'era una società, la Sirap, che gestiva mille miliardi di lire, controllata dalla Espi guidata da suo papà, eppure non rinunciò alle indagini», sibila.

A uscirne malissimo è Pietro Gianmanco, premiato dal Csm con la guida della Procura di Palermo scippata a Falcone, accusato senza troppi giri di parole di aver rivelato le 900 pagine del loro dossier «a Nino Lipari, commercialista di Totò Riina» compromettendo le loro indagini. «Giovanni fu accusato di aver spezzato la narrazione della Sicilia liberata», quella messa in giro da Leoluca Orlando, che in lacrime rischiò l'incriminazione per mafia dopo un interrogatorio con il pm Alberto Di Pisa perché mentì sulle infiltrazioni mafiose di cui sapeva. Il pm fu accusato di essere il corvo e il fascicolo sparì.

«Indagine indegna», urla il sostituto Pg a Milano Cuno Tarfusser che ha fatto riaprire il caso sulla Strage di Erba, candidato alle Europee con Carlo

Calenda. Anche l'ex gip Guido Salvini difende il generale con cui negli anni Novanta aveva lavorato sull'eversione nera. A microfoni spenti la sensazione è che presto il Csm sarà investito da una tempesta di carte e fango.

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