Il tiki taka spregiudicato del presidente, vittima della sua strategia

Fallito l'obiettivo dell'estromissione delle estreme, sacrificato Barnier. L'ultima carta sono i socialisti

Il tiki taka spregiudicato del presidente, vittima della sua strategia
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Ora i macroniani dicono a gran voce che gli architetti del caos sono altri, e non certo loro. E che se il Paese è bloccato è solo colpa dei lepenisti che si sono piegati a votare una mozione di sfiducia promossa dall'estrema sinistra, che gliene diceva di tutti colori, al Rassemblement national. Il racconto tiene, se si cancella però l'antefatto. Che dimostra invece come in realtà Macron sia stato vittima (almeno finora) dalla sua stessa strategia: quella desistenza azionata verso candidati dell'estrema gauche (un paio pure accusati di istigazione all'odio) con cui ha ridimensionato i lepenisti in odore di maggioranza.

Quegli stessi mélenchoniani che ha contribuito a far eleggere sono cresciuti nei sondaggi, e fino alla sfiducia a Barnier hanno tenuto in scacco pure socialisti, verdi e comunisti. Tutti contro Macron, insomma. Non come pensava, speranzoso di poter sganciare subito il Ps dall'alleanza almeno di fronte al rischio shutdown. La vittima per ora è stata solo Barnier, in fondo sacrificabile in ragione di una strategia superiore che prevede alla fine l'estromissione delle estreme dal potere. Costi quel che costi: anche tenendo un Paese bloccato.

È un piano a lenta maturazione, quello di Macron. Nei proclami, all'Eliseo fino al 2027. Allora, fallita la mano tesa ai lepenisti da Barnier, i suoi hanno preso a bollare come diavoli quegli stessi mélenchoniani aiutati a entrare in Parlamento; quindi Le Pen «irresponsabile», accusata di scempio istituzionale. In realtà si chiama democrazia. Spietata quanto si vuole, ognuno gioca la partita con le carte che ha. Riecco dunque l'impasse.

Spiegava il presidente, dopo le europee, che in autunno il governo rischiava la sfiducia. E sciolse l'Assemblée sulla base di tale considerazione fatta il 12 giugno in tv. Ma poi nonostante il vantaggio dato dagli elettori alla coalizione dominata dalla sinistra estrema, con verdi, comunisti e socialisti a far da comprimari a Mélenchon, e il titolo di primo partito a Le Pen e soci, ha costretto il Paese ad assistere all'ennesimo panegirico, a rispettare la «tregua olimpica», far maturare il dialogo e solo infine indicare un premier, premiando i neogollisti quarti classificati. Ha preso tempo, provando a piegare il volere popolare alla sua idea di centro allargato. In mezzo ai due partiti storicamente di governo, sempre lui o chi per lui.

Il Ps, però, d'estate non ha abboccato. Non si è lasciato ingolosire dalla possibilità di governare in stile tedesco con la destra repubblicana. Altro che grande coalizione, si resta con la sinistra. Fino a ieri. Dove sono emerse prime crepe. E il piano Macron, potrebbe allora davvero prender forma. Il Ps ora vuol firmare un accordo di «non sfiducia». Un patto di non aggressione. Tornare insomma, se non centrale, almeno in partita. Mano tesa pure dai verdi.

Ma chiedono una personalità di sinistra o affine a Matignon, sotto la sorveglianza del blocco centrale. I mélenchoniani invitano gli alleati a «tornare alla ragione». La coalizione? «Un'illusione». Forse l'ennesima di Macron. O forse no. Tra manovre disgregatrici in corso. E spregiudicato tiki taka.

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