Torna l'avanzo primario ma cresce la pressione fiscale

Dopo 5 anni lo Stato incassa più di ciò che spende al netto degli interessi sul debito

Torna l'avanzo primario ma cresce la pressione fiscale
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Il secondo trimestre 2024 si è chiuso con un avanzo primario, un fenomeno che non si osservava dal 2019. La differenza tra le entrate dello Stato e le sue uscite (al netto della spesa per interessi) è stata positiva. In particolare, l'indicatore si è attestato all'1,1% del Pil, anticipando quella che dovrà essere un po' la tendenza generale una volta che si sarà usciti dalla procedura di extradeficit e si dovrà ridurre il debito pubblico.

L'Istat, tuttavia, non è stata foriera solo di buone notizie. I conti trimestrali delle amministrazioni pubbliche, calcolati in base alla recente revisione delle serie storiche del Pil, hanno portato con sé un inusitato aumento della pressione fiscale e, purtroppo, anche una riduzione delle prospettive di crescita 2024. Per quanto riguarda il primo argomento, si tratta di un corposo incremento delle entrate fiscali che nel secondo trimestre dell'anno sono cresciute del 3,6% sullo stesso periodo dell'anno scorso (+4,8% il confronto tendenziale del primo semestre). Considerato che l'incremento è stato superiore a quello di crescita del Pil (+0,3% nel primo e +0,2% nel secondo), ecco spiegato perché la pressione fiscale nel periodo aprile-giugno sia salita al 41,3% (+0,7 punti sullo stesso periodo 2023, +0,9 punti semestre su semestre). Tanto più che il recente record di occupati ha ingrossato la platea di contribuenti Irpef.

Chiaramente questa tendenza pone nuovi interrogativi sull'opportunità di qualsiasi stretta visto il buon andamento delle entrate (che nei primi sette mesi sono state superiori alle stime del governo). Ovviamente, finanziare la manovra 2025 imporrà una riflessione sulla rimodulazione delle accise sui carburanti (per altro prevista dalla delega fiscale) e sul «contributo» chiesto alle imprese ad alta redditività che potrebbe concretizzarsi, secondo indiscrezioni non confermate, in un'addizionale Ires, ipotesi fermamente respinta da banche e altre aziende in quanto avrebbe un impatto negativo sui conti.

Conti che diventano un po' più in salita anche per il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti. Insieme ai conti della Pa ieri l'Istat ha reso nota la revisione delle stime del Pil del secondo trimestre alla luce dei nuovi dati 2021-2023. Confermata la crescita congiunturale del +0,2% sui primi tre mesi del 2024, ma il tendenziale è stato rivisto da +0,9 a +0,6%. Il ricalcolo determina un ribasso della stima per il Pil acquisito (cioè con crescita zero nel secondo semestre) che ora è dello 0,4 e non più dello 0,6%. L'obiettivo dell'1% fissato dal Psb si allontana un po' di più nel senso che ora è richiesto un aumento sia nel trimestre appena concluso che uno più corposo in quello attuale.

Se i 100 miliardi di euro di Pil in più derivanti dal riconteggio del triennio al 2023 avevano avuto un effetto positivo su deficit e debito, non si poteva evitare il risvolto negativo di un punto di partenza più impegnativo (il prodotto interno lordo dell'anno scorso) dal quale ripartire.

In un simile contesto è più difficile anche parlare di tasse anche perché l'Istat ha segnalato un incremento della propensione al risparmio e una flessione della quota di profitti delle imprese. Aumentare il prelievo non solo diminuirebbe un potere d'acquisto che sta risalendo, ma influirebbe su consumi e attività economica.

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