La trappola del groviglio di odio

Eitan ha sei anni ed è un sopravvissuto. Quella domenica sul Mottarone ha perso la sua famiglia: il padre, la madre, il fratello

La trappola del groviglio di odio

Eitan ha sei anni ed è un sopravvissuto. Quella domenica sul Mottarone ha perso la sua famiglia: il padre, la madre, il fratello. La prima cosa che disse quando si risvegliò nel reparto rianimazione fu «dove sono mamma e papà». Non è stato facile dare una risposta. Al suo fianco c'era la zia paterna. Si chiama Aya e vive a Pavia. È lei la tutrice legale del bambino. Solo che le cose vanno peggio di quanto la pietà umana possa immaginare. I genitori della madre non sono d'accordo. I rapporti con l'altro pezzo di famiglia sono pessimi. Non trovano e neppure cercano un compromesso. Vogliono Eitan e se lo prendono. Lo rapiscono e lasciano un biglietto per informare che è in viaggio per Israele e l'Italia non sarà la sua casa. C'è un doppio passaporto, un aereo privato, nessun sospetto al momento dell'imbarco e un nonno che recita la parte del buono. Non sarà neppure facile trovare una soluzione in tribunale. Di quale Stato? Di quale famiglia?

Sembra tutto surreale, ma purtroppo è la realtà. Il rapimento è stato organizzato dal nonno. La zia di Pavia rivela che è stato condannato per maltrattamenti verso la ex moglie. La zia israeliana, la sorella della madre, fa sapere che questo atto brutale è stato fatto solo per il bene del bambino. È un intreccio che si stringe intorno a Eitan e lo soffoca, lo mercifica, con l'egoismo ottuso che prende il sopravvento su ogni ragione umana. È solo possesso, possesso forse per esorcizzare la tragedia, per imprigionare un frammento di vita. Eitan però non è un feticcio. È un bambino che ha perso tragicamente tutto il suo mondo e non ha voce, non ha parole e quel che resta della sua famiglia è un groviglio di odio.

La morte non insegna nulla. Non serve a rendere umano lo sguardo delle persone. La morte incattivisce e forse è stato sempre così. Non fa alzare gli occhi, non smussa le ossessioni dei vivi, non rende tutto più piccolo, irrilevante, non ti porta ad abbracciarti e a superare i rancori. È un'illusione che la morte renda più profonda e saggia la vita. Dovrebbe essere cosi, farti riflettere sulla fragilità del destino e conoscere le strade imprevedibili del caso o farti aggrappare alle cose che davvero contano. Non è così, lo si vede sempre, la tragedia finisce per schiacciare a terra le anime già sfilacciate. Ti fa strisciare nella meschinità.

La famiglia, come

luogo dello spirito, non ne esce affatto bene da questa storia. Non è un rifugio. Non è una promessa di pace o di serenità. È, in questo caso, un'altra illusione. È il dramma e la beffa di un bambino che l'ha persa due volte.

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