«Non abbassiamo la guardia» è un mantra ripetuto di continuo perché con i giusti allentamenti la tentazione di molti è di passare dall'osservazione scrupolosa di tante regole al totale disinteresse. E gli ultimi dati indicano 63.815 casi positivi e 133 decessi in Italia. Esistono invece livelli di attenzione, grazie alla norme apprese in questi anni, a cominciare dalla mascherina in luoghi chiusi e con molta gente e l'igiene delle mani. Il risultato infatti è il numero delle reinfezioni delle ultime settimane, passate dal 4,1% al 4,4%, dove «verosimilmente il maggior rischio nelle fasce d'età più giovani è attribuibile a comportamenti ed esposizioni a maggior rischio rispetto alle fasce d'età over 60», sottolineano gli esperti dell'Istituto superiore di Sanità nell'ultimo report sul Covid-19. Dal 24 agosto 2021 al 13 aprile 2022 sono stati segnalati 338.967 casi di reinfezione, pari a 3,2% del totale dei casi notificati. Il report evidenzia un aumento del rischio di reinfezioni «nelle fasce più giovani, (12-49 anni) rispetto alle persone con prima diagnosi in età compresa fra i 50-59 anni e nell'ultima settimana sul totale dei casi segnalati risulta in aumento». Il tasso di mortalità standardizzato invece è superiore di 5 volte tra i non vaccinati rispetto a chi ha fatto il ciclo completo da meno di 120 giorni e di 10 volte più alto rispetto a chi ha scelto anche il booster.
Proprio sul richiamo, che nel periodo di prevalenza di Omicron (3 gennaio) previene la diagnosi di infezione del 68% (dati Iss), si è concentrato un team di ricerca dell'Università di Ginevra che ha confrontato la carica virale dei primi 5 giorni sintomatici per Sars-CoV-2 «originale» (118 campioni, primavera 2020), variante Delta (293 campioni, autunno 2021), e variante Omicron BA.1 (154 campioni, inverno 2022), indagando anche le eventuali differenze tra vaccinati e non vaccinati. La particolarità dello studio è la valutazione infettiva della carica virale con la coltura del virus per diversi giorni in un laboratorio di livello 3 di biosicurezza, procedura impossibile da eseguire di routine. «Conoscere la contagiosità è essenziale per decidere le misure di prevenzione collettiva, come i periodi di isolamento», sottolinea Isabella Eckerle, direttore del centro dell'Università di Ginevra per le malattie virali emergenti. Nel complesso, la carica virale infettiva per il gruppo Delta era superiore a quella con il virus «originale» ma con due dosi a mRna era inferiore a quella dei non vaccinati. «Per il gruppo di pazienti con Omicron, contrariamente a quanto si può presumere, data la sua rapida diffusione, la carica virale era inferiore a quello con Delta», aggiunge Eckerle.
In particolare si è scoperto che solo con le tre dosi c'è stata una diminuzione della carica virale infettiva mentre con due non c'è stato alcun beneficio rispetto ai non vaccinati. Per i ricercatori è un dato immunologicamente coerente, poiché «molti vaccini richiedono 3 dosi distanziate di diversi mesi l'una dall'altra per indurre una risposta immunitaria sostenuta».
Poiché non è chiaro come mai una variante così contagiosa come Omicron in realtà determini una carica virale così bassa, i ricercatori sottolineano che la vaccinazione si è dimostrata «utile nel limitare l'insorgenza di sintomi gravi e molto probabilmente anche la trasmissione del virus. Infatti, nei paesi in cui la popolazione, soprattutto gli anziani, è scarsamente vaccinata, Omicron si è dimostrato altrettanto letale».
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