«Troppo presto». Ancora troppo presto per ripartire e per riaprire anche alcuni settori meno a rischio secondo il comitato tecnico scientifico. Il governo frena perché frenano soprattutto gli scienziati. No ad accelerazioni rispetto alla dead line del 4 maggio. «È assolutamente troppo presto per iniziare la fase 2: i numeri, soprattutto in alcune Regioni, sono ancora pieni di una fase 1 che deve ancora finire. È assolutamente importante non affrettare e continuare» avverte Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute. Nella fase 2 dovrebbero essere fatti i tamponi anche a chi ha sintomi lievi: «Nella seconda fase proponiamo di estendere la tamponatura ai sintomatici molto lievi, quelli che hanno un solo sintomo e che esordiscono con un colpo di tosse e soprattutto con la febbre, e isolarli immediatamente nel caso risultino positivi e poi tracciarli tecnologicamente in modo tale da risalire ai contatti in modo rapido».
La task force di Colao lavora sulle modalità di una riapertura progressiva senza però dare alcuna road map. La tempistica viene lasciata al governo. Che è orientato a non riaccendere i motori prima del 4 maggio. Da lì in poi ragiona su uno scaglionamento per la ripartenza sulla base della curva dei contagi nei territori. Le regioni però chiedono misure unitarie a livello nazionale. Il governatore lombardo Attilio Fontana però auspica che non ci siano eccessive frammentazioni e scaglionamenti tra regioni: «Le decisioni saranno prese tutti insieme sulla base delle valutazioni dei tecnici a tutela della salute ma non credo che si possa arrivare a quello perché l'Italia potrebbe rimanere zoppa». Il territorio più martoriato dall'infezione registra un sensibile rallentamento nei numeri dei contagi (a Milano e provincia i positivi accertati sono 279 in più) e dei ricoveri. Si allenta la pressione anche su Bergamo, mentre l'ospedale milanese Niguarda ha deciso di chiudere uno dei 5 reparti di terapia intensiva allestiti nell'emergenza. «Fino a pochi giorni fa avevano accolto pazienti in condizioni gravissime a causa del virus ma ora i reparti sono quasi vuoti. Si tratta di un piccolo passo, ma importantissimo. L'emergenza non è terminata e non possiamo assolutamente abbassare la guardia. Ma una prima buona notizia c'è». Il governatore del Veneto Luca Zaia continua a sperare «che ci siano segnali prima del 4 maggio». Sì a un unico orientamento per quello della Liguria, Toti, «ma anche a un margine di autonomia: è evidente che le esigenze sono diverse». Il presidente del Lazio Zingaretti chiede di «riaprire nei tempi giusti, in piena sicurezza. Occorrono presto le linee guida nazionali su come riaprire». Linee nazionali che dovrebbero arrivare dalla task force Colao nei prossimi giorni. Il punto più difficile resta quello sui trasporti, col rischio di assembramenti che vanificherebbero le precauzioni prese sui luoghi di lavoro. Si pensa a scaglionamenti nei turni nelle attività produttive che alleggeriscano i flussi dei pendolari sui mezzi.
Di certo non ci sarà una fine anticipata del lockdown. Anche se, secondo uno studio di un team internazionale di scienziati a guida italiana, gli effetti a lungo termine di una chiusura sono dubbi.
Secondo l'analisi sono solo i 17 giorni successivi all'applicazione delle misure di contenimento a determinare l'entità della diffusione del contagio da Covid-19: l'andamento sembra dipendere dai focolai divampati nei primi giorni della pandemia e non dalle differenze nel rigore del lockdown. Il modello predittivo delle vittime dai 17 giorni in poi, coincide in tutti i Paesi, anche in quelli dove le industrie non sono mai state chiuse.
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