
Donald Trump ignora il crescente assedio di big dell'hi-tech, banchieri e alleati e non arretra sulla politica dei dazi, escludendo pause e paragonandoli ad «una cura» destinata a guarire i mali dell'economia americana. Ma a creare ulteriore incertezza sono i messaggi contrastanti lanciati dal presidente Usa che prima, rispondendo ai giornalisti a margine dell'incontro con Benjamin Netanyahu nello Studio Ovale afferma: «Non stiamo prendendo in considerazione» pause. Poi precisa che «faremo accordi equi» e «le tariffe potranno essere permanenti o negoziabili».
Tranne che con Pechino, contro cui ha minacciato da domani il 50% di dazi in più se non revoca le sue misure di rappresaglia (e in tal caso alcuni prodotti cinesi potrebbero avere barriere doganali di oltre il 100%). «Non ci piegheremo alle minacce di Trump» si affretta a replicare Pechino.
«Parleremo con la Cina, ho una grande relazione con Xi, speriamo che questo rimanga» spiega il tycoon, anche se poco prima sottolinea che «il deficit commerciale con Pechino è di mille miliardi di dollari, e dobbiamo risolverlo. Perdiamo con loro centinaia di miliardi all'anno e a meno che non risolviamo quel problema, non farò un accordo. Stiamo parlando con i Paesi di tutto il mondo, definendo parametri severi, ma equi» prosegue Trump, continuando a minimizzare il panico sui mercati azionari e tornando a utilizzare una metafora medica: «A volte è necessario assumere farmaci per curarsi». The Donald ripete su Truth la «sua realtà» sullo stato dell'economia Usa: «I prezzi del petrolio sono in calo, i tassi di interesse sono in calo, i prezzi dei prodotti alimentari sono in calo, non c'è inflazione e gli Stati Uniti, sfruttati da tempo, stanno portando miliardi di dollari a settimana dai Paesi che abusano con dazi già in vigore. Questo nonostante il fatto che il più grande sfruttatore di tutti, la Cina, i cui mercati stanno crollando, abbia appena aumentato le sue tariffe del 34% senza riconoscere il mio avvertimento ai Paesi che sfruttano di non reagire». Poi rivela di aver avuto un colloquio con il premier giapponese, e che la scorsa settimana ha parlato con molti europei e asiatici che «stanno morendo dalla voglia di fare un'intesa». Secondo il segretario al Tesoro Scott Bessent, sono ad ora 70 i Paesi che hanno contattato l'amministrazione per discutere delle loro barriere commerciali. Il comandante in capo, da parte sua, commenta pure l'affermazione di Elon Musk che vuole zero dazi con il Vecchio Continente, e ribadisce che «l'Europa ha fatto una fortuna con noi e ci ha trattato molto molto male, ma stanno venendo al tavolo. Vogliono parlare, ma non si parla se non ci pagano un sacco di soldi su base annuale». Intanto prosegue il botta e risposta tra il patron di Tesla, X e SpaceX e Peter Navarro, consigliere della Casa Bianca per il commercio.
Dopo che Musk lo ha definito un «egocentrico che non ha mai costruito niente» Navarro replica: «Quando si tratta di tariffe e commercio, Elon non è un produttore di automobili ma un assemblatore di automobili» aggiungendo che molti componenti Tesla provengono da Giappone, Cina, Taiwan. «La differenza tra il nostro modo di pensare e quello di Elon - conclude - è che noi vogliamo che i pneumatici siano realizzati ad Akron, e le trasmissioni a Indianapolis».
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