Lasciamo perdere il record di donazioni (126 milioni di dollari tra domenica e martedì sera), l'attenzione dei media, i sondaggi positivi a livello nazionale (non servono a nulla), la ritrovata unità e il rinnovato entusiasmo dei Democratici. Tutti elementi che andranno verificati da qui a novembre e che i Repubblicani devono avere messo nel conto, se è vero che «da maggio» si preparavano all'ipotesi di un passaggio di testimone da Joe Biden a Kamala Harris. Non sono questi i motivi per i quali nel campo Trump-Vance comincia a emergere un certo nervosismo. Il problema è più ampio e impone un resettaggio della campagna, finora tarata per affrontare l'81enne Biden. Ad esempio, una delle domande da porsi, ragionano gli strateghi Repubblicani, è come attaccare una candidata donna, senza risultare sessisti e alienarsi l'elettorato femminile. Oppure, come attaccare Harris quale candidata Dei (Diversity, equity and inclusion), senza risultare razzisti. O accollarle i «fallimenti» dell'Amministrazione Biden su inflazione, immigrazione e criminalità dopo averla finora descritta come una figura irrilevante.
Non è la prima volta che Trump si scontra elettoralmente con una donna. Accadde nel 2016 contro Hillary Clinton. Ma l'elettorato femminile è da sempre uno dei talloni d'Achille del tycoon, specialmente nel segmento «suburban women», il più importante a livello elettorale. Nel 2020, il 57% delle donne votarono per Biden rispetto al 42% di Trump. Nel 2016, il 54% dell'elettorato femminile si schierò con Clinton, rispetto al 41% di Trump. Gli attacchi del tycoon a Harris sul piano personale potrebbero peggiorare questi dati. «Laffin' Kamala» (Kamala la ridanciana), oppure «Lyin' Kamala» (Kamala la bugiarda), sono gli ultimi nomignoli coniati dall'ex presidente, che in un'intervista al New York Post ha definito la Harris «viziosa e stupida». C'è il rischio che vengano visti come insulti alla Harris in quanto donna, non come avversaria politica. Inoltre, rispetto al 2016 e al 2020, Trump si presenta alle elezioni da condannato (in sede civile) per la violenza sessuale alla scrittrice E. Jean Carroll, e (in sede penale) per avere pagato in nero la porno star Stormy Daniels, con la quale tradì la moglie Melania, peraltro incinta. Senza contare che uno dei temi dell'attuale campagna è quello dell'aborto, dopo la sentenza della Corte Suprema del 2022 che ha abolito il diritto a livello nazionale, rimandando le scelte ai singoli Stati. Harris attribuisce a Trump e ai giudici conservatori da lui insediati la decisione della Corte (del resto, lui la rivendica) e promette, «non torneremo indietro». È una questione sulla quale il tycoon, proprio tra le «suburban women», potrebbe perdere ancora più terreno. Il tema Dei è un campo altrettanto minato. Dopo una serie di attacchi da vari deputati trumpiani, che attribuivano la scelta di Harris da parte dei Dem al solo fatto che fosse black, è dovuto intervenire lo speaker repubblicano della Camera Mike Johnson: «Ne ho parlato con i nostri deputati. Questa è un'elezione che riguarda le posizioni politiche, non le personalità dei candidati». «Sono attacchi stupidi», ha confermato l'ex speaker repubblicano Kevin McCarthy. Segnali di nervosismo che si riflettono su altre fughe in avanti, come la richiesta di impeachment per Harris presentata dal deputato del Tennessee Andy Ogles, l'immigrazione illegale (era uno dei suoi dossier) e le «menzogne» sulle condizioni fisiche di Biden. O come il tentativo di bloccare, con un ricorso alla Commissione elettorale federale (Fec) il travaso delle donazioni dalla campagna di Biden a quella di Harris.
C'è un altro tema che la campagna Trump sta analizzando, per verificare se la percezione degli ultimi giorni sia confermata dai numeri dei sondaggi.
Il timore è che la discesa in campo della 59enne Harris al posto di Biden abbia reso «inutile» la scelta di JD Vance come partner «giovane» del tycoon e fatto improvvisamente apparire il 78enne Trump come il candidato «vecchio».
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