La cacciata dello stratega elettorale trumpiano Brad Parscale, avvenuta pochi giorni fa, aveva preso ben pochi di sorpresa. Indicato come il responsabile della figuraccia di Tulsa, con il palazzetto dello sport mezzo vuoto mentre avrebbe dovuto rigurgitare di fans del presidente accorsi da tutto l'Oklahoma, Parscale non solo ha fatto da parafulmine, ma una volta folgorato dal più famoso licenziatore d'America ha consentito a Donald Trump di cambiare radicalmente la strategia per la sua campagna per le presidenziali. Con una delle sue ormai classiche spregiudicate giravolte, «The Donald» ha deciso di rinunciare ai tour da stadio alla Rolling Stones (sì, proprio quelli che gli hanno minacciato cause legali se continuerà a usare le loro celebri canzoni come colonna sonora per i suoi eventi politici) e di convertirsi ai comizi virtuali.
Una svolta decisamente inattesa, considerata l'importanza che Trump attribuisce al contatto diretto con i suoi seguaci durante le campagne e la difficoltà ad ammettere i grossi problemi causati dal dilagare del Covid. «Avrei voluto essere con voi, e questa telefonata rimpiazza i nostri comizi che ci piacciono tanto», ha detto ieri il presidente-tycoon ai suoi sostenitori dello Stato del Wisconsin collegati per una videoconferenza che è durata 23 minuti, la prima di una lunga serie di Trump-rallies (così li ha battezzati) già messi in scaletta. «Stiamo facendo davvero un buon lavoro con le cure e i vaccini ha proseguito ma finché la pandemia non sarà risolta sarà difficile organizzare i nostri immensi raduni». É questo lo stile che Trump ha scelto di tenere parlando dell'epidemia di Covid, la cui contestata gestione gli sta costando secondo gli ultimi sondaggi un distacco di addirittura 15 punti dal suo quasi silenzioso avversario democratico Joe Biden: noi facciamo le cose benissimo, ma non ci viene riconosciuto per basse ragioni politiche, «abbiamo già fatto i tamponi a 50 milioni di americani, facciamo invidia al mondo per questo ed è ovvio che ciò ha portato a registrare un maggior numero di casi ufficiali di contagio, ma resta la cosa giusta da fare. Alla fine però il virus sparirà, e avrò ragione io».
In attesa di vincere questa scommessa, Trump contempla con disagio un Biden arrivato senza quasi parlare agli americani (o forse proprio per questo, dicono i detrattori) al 55% delle intenzioni di voto. Per schiodarsi dal suo disastroso 40%, il presidente ormai quasi uscente mancano cento giorni alle elezioni si affida alla sua proverbiale sfrontatezza e mette le mani avanti facendo capire che potrebbe rifiutarsi di accettare una sua eventuale sconfitta la sera del 3 novembre. «Non sono bravo a perdere. Perdere non mi piace e non perdo troppo spesso», ha detto in un'intervista alla rete Fox News, sua simpatizzante. Poi la sparata sul dubbio che intende mantenere sulla sua pubblica accettazione di un risultato negativo: «Il voto per corrispondenza potrà facilitare brogli ai miei danni. Non vi dico né sì né no, dovrò vedere» e in fondo anche se si tratta di un'enormità per un presidente degli Stati Uniti, che dovrebbe essere il primo garante della credibilità del sistema elettorale non è davvero una novità, visto che già nel 2016 aveva minacciato di fare lo stesso se Hillary Clinton lo avesse battuto.
Infine, bordate senza risparmio all'indirizzo di Biden.
«Vuole rovinare il nostro Paese, triplicare le tasse. E non sarà nemmeno lui a farlo, sarà la sinistra radicale che lo manipola. La loro ideologia è la stessa che ha ridotto senz'acqua, cibo e medicine il Venezuela, uno dei Paesi più ricchi del mondo».
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