Da quando a metà giugno ha annunciato la sua candidatura a presidente, ha monopolizzato l'attenzione della stampa americana. Si dice spesso che il miliardario Donald Trump non sia avvezzo a utilizzare «filtri», anche quando parla in pubblico. Così, per giorni in America si è discusso della sua controversa posizione sull'immigrazione. Ha spiegato come il governo messicano spedirebbe oltre il confine americano «criminali», «spacciatori», «violentatori», ma che ci sono anche «brave persone» tra gli immigrati. Poi, durante il week-end, il magnate sbarcato nella fila della politica repubblicana, ha scatenato la tormenta politica quando ha messo in dubbio, sempre durante una comparsa pubblica, le credenziali di eroe di guerra di un suo compagno di partito: il senatore dell'Arizona ed ex aspirante presidente John McCain, veterano della guerra del Vietnam, pilota, prigioniero per cinque anni. È un eroe perché «è stato catturato», «mi piacciono le persone che non sono state catturate, ok?», ha detto Trump domenica.
Da giorni, l'uomo d'affari è quindi al centro di uno scontro politico tutto interno al suo partito, il cui establishment non gradisce particolarmente la sua presenza sopra le righe nella tenzone elettorale. Non è quindi stato accolto certo con entusiasmo l'ultimo sondaggio Washington Post / Abc che racconta di come sia proprio Donald Trump a guidare la vasta schiera di candidati del Grand Old Party con un sonoro 24 per cento di preferenze, lontano dal 13 per cento del governatore del Wisconsin Scott Walker e dal 12 per cento di un favorito come Jeb Bush. Il Washington Post fa però notare come le telefonate per questo sondaggio siano state fatte per la maggior parte prima dei commenti di domenica di Trump su McCain, e come i dati raccolti in seguito abbiano subito un crollo «significativo» a livello statistico, con cifre sotto il 10 per cento.
Che l'establishment del partito repubblicano ne abbia già avuto abbastanza dell'eccentrico miliardario è sempre più chiaro nelle ultime ore, soprattutto dopo il rifiuto di Trump di porgere le proprie scuse al senatore McCain, un politico che divide e ha diviso ma che trova a Washington tutti d'accordo sul suo passato riconosciuto di eroe di guerra. McCain «è un eroe legittimo e Trump deve scusarsi», ha detto l'ex governatore della Florida Jeb Bush, che fino a quattro mesi fa godeva del 21 per cento di sostegno come candidato repubblicano alla Casa Bianca. Per il senatore della Florida e aspirante presidente Marco Rubio, il nuovo rivale Trump ha insultato non soltanto McCain ma tutti i POW, prisoner of war, prigionieri di guerra. «Deve scusarsi con tutti i veterani», dice il presidente Obama. Ted Cruz invece, altro candidato alle primarie repubblicane e senatore del Texas, ha detto di non voler entrare in una discussione che mira a dividere un partito già fratturato e che sicuramente, rispetto ai democratici, non riesce a presentare un volto capace di catalizzare l'attenzione. In casa democratica, per esempio, la questione è diversa, il numero di politici in gara è minore e in campo c'è un viso ben riconoscibile: è sempre il sondaggio del Washington Post a dare il 68 per cento delle preferenze a Hillary Clinton, seguita da molto lontano da un nuovo contendente, il senatore del Vermont Bernie Sanders. Il sondaggio racconta anche come il gonfiarsi dei numeri di Trump possa però essere di breve durata.
Tra l'elettorato repubblicano soltanto il 16 per cento pensa che gli immigrati messicani siano «criminali», il 74 li definisce «persone oneste». Il 54 per cento non crede che Trump rifletta i valori del Grand Old Party, e più in generale il 62 per cento degli intervistati ha fatto sapere che, se vincesse le primarie, non voterebbe per lui come presidente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.