Il dato di Confturismo è paradossale: negli ultimi 15 anni il numero dei turisti stranieri in Italia è cresciuto del 50 per cento (sono stati raggiunti i 53 milioni di visitatori) ma i guadagni sono diminuiti. Nel 2001 la spesa media pro capite era di 1.035 euro, nel 2015 è crollata a 670. Significa che in questo arco di tempo si sono persi 38 miliardi di entrate valutarie.Il grido d'allarme si è levato dal Forum di Confcommercio di Cernobbio dove albergatori e commercianti hanno fatto l'esame di coscienza ma hanno pure denunciato gli ostacoli alla crescita del settore che è stato chiamato il «petrolio d'Italia» e rischia invece di diventare una Cenerentola. Qui la crisi economica internazionale non c'entra perché il Belpaese resta il sogno dei viaggiatori di tutto il mondo e chi si sobbarca ore di auto o di aereo per varcare i nostri confini non ha particolari problemi economici. La ricerca presentata ieri a Villa d'Este spiega che la permanenza media si è ridotta da 4,1 a 3,6 giorni, sempre più «mordi e fuggi». I cinesi, che in pochi anni sono diventati il quinto Paese di provenienza (dopo Germania, Usa, Francia e Gran Bretagna), si fermano appena un giorno e mezzo. Gli operatori restano ottimisti: per il triennio 2016-18 si prevede un ulteriore aumento medio di presenze del 3,6 per cento soprattutto da Cina e Stati Uniti. Ma rimane l'interrogativo se questo afflusso si tradurrà in una crescita corrispondente delle entrate. È lo specchio dell'Italia che arranca, che «cresce senza slancio» per usare le parole ripetute da Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, davanti al ministro Maria Elena Boschi. Il problema non è attrarre ma trattenere, ha detto Luca Patanè, presidente di Confturismo-Confcommercio: «L'Italia deve ripensare il suo modello di offerta turistica, ma soprattutto servono interventi e politiche che accrescano la competitività delle imprese di questo comparto». Ma c'è pure uno squilibrio strutturale. Il 60 per cento delle presenze straniere si concentra in quattro regioni del Centro-Nord Veneto, Lazio, Lombardia e Toscana e soltanto il 12 per cento si spinge fino alle regioni meridionali, penalizzate da infrastrutture carenti e da una promozione disastrosa. L'immagine più efficace l'ha offerta Oscar Farinetti, patron di Eataly intervenuto tra gli altri a Cernobbio: la Sicilia ha gli stessi chilometri di costa delle isole Canarie e un decimo dei turisti. Altro paradosso: nell'anno dell'Expo i visitatori ai Bronzi di Riace sono scesi del 17 per cento. Lo stesso Farinetti, che con il governo Renzi è diventato una sorta di ambasciatore del gusto italiano nel mondo (oltre che una macchina da soldi), si è messo nella scia di Sangalli che chiedeva al governo di ridurre il peso delle imposte. «Bisogna trasformare il Sud in un paradiso fiscale» ha detto mister Eataly. Un'area no-tax per alberghi e ristoranti in modo da fare ripartire l'offerta turistica.
«I due piatti più famosi al mondo, pizza e pasta, sono del Sud. Siamo primi nell'enogastronomia e nel patrimonio artistico, il Mezzogiorno ha potenzialità stratosferiche da sfruttare». Ma anche lui, al momento, preferisce aprire a Chicago e Dubai piuttosto che a Napoli o Palermo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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