Tutti contro il bar fascista ma nessuno tocca via Stalin

Gli indignati a senso unico contro i nostalgici del Duce. Ma nessuno si lamenta per la toponomastica comunista

Tutti contro il bar fascista ma nessuno tocca via Stalin

Nelle foto in cui spavaldo fa il saluto romano, campeggiano alle sue spalle numerosi cimeli fascisti, soprattutto della Repubblica sociale, ma anche bottiglie di Campari e amaro Averna. Lui, Vinicio Morzenti, titolare del bar «Colazione da Tiffany» in quel di Bergamo, è pelato come il Duce, ma assai più smagrito dietro un paio di occhialoni scuri. Da qualche giorno è al centro di una polemica così divertente che è difficile non ricamarci su. Il Corriere della Sera ha titolato addirittura «Blitz della polizia. Rapporto in procura» dopo che l'Anpi locale aveva sollecitato un'ispezione per verificare l'ipotesi di reato di apologia del fascismo. Immaginiamo lo stupore delle forze dell'ordine che avranno ben ordinato almeno un cordiale o un cappuccino tanto per distrarsi da quel pot-pourri di bandiere della X Mas e santini con l'effigie di Mussolini.

La cosa in sé potrebbe finire qui, a meno di altri clamorosi risvolti.

Valgono però alcune considerazioni.

Innanzitutto, è bene precisare che non basta l'esposizione di gadget fascisti per far scattare l'apologia.

E bisognerebbe aggiungere, per onestà intellettuale, che il reato di apologia del fascismo è frutto di quell'assioma tanto scontato per cui «la storia, la scrivono i vincitori». Altrimenti, sarebbe impossibile abitare in via Stalin, in via Ho Chi Minh, in via Rivoluzione d'Ottobre come può accadere in Italia; e francamente sarebbe altrettanto deplorevole esporre i feticci del comunismo, che di morti ne ha prodotti infiniti di più rispetto al fascismo, e che invece vengono ostentati con sommo gaudio.

A meno di non voler piombare nel ridicolo del politicamente corretto, come è accaduto negli Stati Uniti dove, dopo la strage razzista di Charleston, è stata messa al bando la bandiera confederata dagli edifici pubblici del South Carolina, visto che il killer se ne ammantava; col risultato paradossale che pochi giorni fa, decine di membri del Ku Klux Klan hanno sfilato a Columbia, la capitale dello Stato americano, per protestare contro la rimozione: di fatto rendendo simbolico quello che forse simbolico ancora non era.

In generale, ragionare come se alcuni fatti fossero estranei alla storia, al passare del tempo, frutto di un male assoluto non storicizzabile, ci costringerebbe a una sorta di ragionamento che risale all'infinito.

Napoleone è stato un massacratore, per cui i francesi dovrebbero smantellarne il monumento funebre nel centro di Parigi, il Dôme des Invalides; Cesare tecnicamente ha perpetrato un genocidio, e gli eredi dei Galli potrebbero chiederci i danni, od obbligarci al buon gusto di non celebrarne il mito sui banchi di scuola.

L'Anpi, in quanto associazione partigiani, come accadde per i garibaldini, o per i reduci della Grande Armée, o per i pochissimi sopravvissuti delle Termopili, alla fine sarà destinata ad esaurirsi per consunzione e anche il ruolo di occhiuto controllore della storia verrà preso da altri, i quali anch'essi avranno la presunzione di poter sedimentare una propria verità storica definitiva: quella dei vincitori appunto, che non è la verità, semmai una versione.

Entrando al bar del signor Morzenti, il quale

crediamo non voglia ricostituire il «disciolto partito fascista» come vieta la legge numero 645 del 1952, basterebbe convincersi che il passato passa, e che la storia si presenta la prima volta in tragedia la seconda in farsa.

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