Governata da un algoritmo: Ecce Ue. Alla fine si scopre che nella trattativa per i finanziamenti del Pnrr Giuseppe Conte, che per anni ha fatto il gradasso rivendicando a suo merito la montagna di soldi arrivata in Italia, l'ex-premier grillino c'entrò ben poco - al massimo alzò la voce allo specchio con se stesso - ma tutto fu deciso da una sequenza di operazioni immesse nel computer da due burocrati olandesi dell'Unione. Lo rivela nell'ultimo libro di Paolo Valentino, «Nelle vene di Bruxelles», l'attuale commissario Ue Paolo Gentiloni e francamente non si può non restare stupiti e non tanto per la spacconata di Conte - in fondo il personaggio è noto - ma perché immaginare che la decisione più importante presa dall'Europa negli ultimi dieci anni, cioè la suddivisione delle risorse tra i paesi membri per risalire la china dopo il Covid, sia stata frutto non di una valutazione politica ma di un algoritmo almeno al sottoscritto fa venire i brividi.
La ragione è semplice: quella volta all'Italia andò bene (anche se Gentiloni sostiene che altri nella Ue furono più fortunati) ma non è detto che in futuro sia sempre così. Anzi, sorge il dubbio che i calcoli che hanno spinto l'Unione quasi 15 anni fa ad abbandonare la Grecia al suo destino e magari a mettere l'Italia in croce siano stati frutto dello stesso meccanismo. Una procedura che è agli antipodi della politica ed è il frutto solo di spietate funzioni matematiche. E la conferma è data dal modo diverso con cui fu affrontata quella crisi dagli Stati Uniti: Obama assunse una scelta, come si dice in gergo, del tutto politica come quella di puntare sullo sviluppo; l'Europa, invece, si convinse che la strada maestra era quella del rigore, magari suggerita proprio da un altro algoritmo in quel caso di marca teutonica. Che le cose vadano in questo modo a Bruxelles lo si poteva anche intuire, che siamo in braccio ai calcoli dei burocrati e non alle intuizioni dei politici pure, ma le parole di Gentiloni spazzano via i dubbi e ci consegnano questa cruda realtà: in Europa o i governi non sono capaci di decidere insieme per il bene comune; o, peggio ancora, è il sistema istituzionale che non permette di prendere delle scelte ponderate per cui si è costretti ad usare un algoritmo per sciogliere i nodi politici.
Sono due ipotesi, entrambe, che appunto fanno rabbrividire. Soprattutto, ci consegnano l'immagine di un'Unione impotente, bloccata, per alcuni versi inerme che se non risolve bene e presto le sue contraddizioni un giorno, neppure tanto lontano, rischia di essere governata da un'intelligenza artificiale. E sarebbe davvero un bel guaio se si tiene conto che rispetto al passato nessuno mette ormai in dubbio che il futuro dei 27 paesi sia l'Europa unita, neppure la destra sovranista e populista che qualche giorno fa è stata riunita in Spagna da Vox. Anzi, tutto ciò suggerisce un'ulteriore riflessione: se alla fine la suddivisione delle risorse del Pnrr sono tate decise da un algoritmo che ragione c'è di dividersi tra destra e sinistra a Strasburgo? Che senso hanno tutti questi ragionamenti, tattiche, strategie, polemiche sulla maggioranza Ursula, sul centro-destra europeo, sull'alleanza tra i partiti storici dell'Unione? Se all'ultimo la linea viene imposta dalle funzioni matematiche escogitate da qualche burocrate è evidente che la politica conti poco. In questa logica c'è il rischio che nei prossimi mesi la decisione di appoggiare o meno l'Ucraina sarà presa inserendo nell'algoritmo il numero delle vittime, le spese sostenute, i costi dell'energia. Stesso discorso potrebbe capitare alla green economy o alla politica, pardon, all'algoritmo sull'immigrazione.
Ecco visto che ormai tutti sono consapevoli che non ci sia nessuna alternativa all'Unione, forse sarà il caso di creare le condizioni affinché la
politica entri dalla porta principale e che le istituzioni europee siano riformate per permettere ai governi e al Parlamento di Strasburgo di decidere. Altrimenti se bisogna affidarsi ad un algoritmo che senso ha votare?
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