
Da tempo sono convinto che l'Europa, se vuole avere un ruolo nell'era del «ferro» che si è aperta con l'invasione Russa dell'Ucraina, debba diventare un po' meno vegana e un po' più carnivora, almeno onnivora diciamo.
E per farlo non basta produrre qualche cannone in più, occorre cambiare la percezione che si ha di se stessi, preparare l'opinione pubblica a un tempo diverso. Non basta più crogiolarsi nella convinzione che la nostra cultura, il nostro sistema di diritti, la nostra storia, siano sufficienti per avere un ruolo centrale e autorevole nel mondo. Per dirla con Adreotti: «Non basta aver ragione, bisogna che qualcuno te la riconosca». E oggi anche solo per parlare, serve avere una voce possente, sennò il rumore di fondo coprirà ogni frase.
Quel che però in questo fine settimana si è colto non è solo la titubanza del continente a imboccare una strada diversa, ma anche l'incapacità di affrontare il ragionamento aperto con quella razionalità aristotelica che dovrebbe, questa sì, essere nostro patrimonio.
Il dibattito aperto da Trump sulla pace ha scombinato anche posizioni politiche consolidate da anni, soprattutto tra i cosiddetti pensatori di sinistra. Dai tempi della Guerra Fredda fino agli ultimi conflitti in Afghanistan ed Iraq, le piazze europee, e italiane in particolare, si riempivano di bandiere contro il militarismo e l'interventismo americano.
La dottrina del nuovo presidente Usa ha scombinato le carte, mandando in cortocircuito tutto un universo che oggi si trova a non sapere bene come coniugare due capisaldi della sinistra: pacifismo e anti-americanismo.
Oggi infatti, chi vuole la pace «senza se e senza ma» per stare a un vecchio slogan, dovrebbe scendere in piazza con l'effige dell'odiato Trump. È stato lui infatti il primo a dire che per arrivare a una composizione del conflitto, per far tacere le armi, bisognava aprire un dialogo con il nemico Putin, chiudere l'epoca della guerra a oltranza, riconoscere almeno il suo punto di vista, evitare le provocazioni. E che l'Ucraina per avere la pace avrebbe dovuto sedersi a un tavolo e riconoscere qualcosa all'invasore.
Insomma, una posizione pacifista: cedere qualcosa pur di far cessare la carneficina. Si può essere d'accordo o meno, ma è una posizione chiara e realista.
Poi c'è un pezzo di Europa che, in linea con la precedente amministrazione americana, considera il tema del diritto internazionale, della giustizia, dell'ordine mondiale e della sicurezza più importante della pace a qualunque costo. Vladimir Putin (nella foto) è l'invasore e il tiranno, questo il ragionamento, nessuna concessione è possibile, anzi, ogni cedimento accrescerebbe la sua aggressività. Pertanto la guerra può cessare solo con un pieno riconoscimento delle colpe russe e senza alcun beneficio per Mosca.
Questa è la parte di Europa che ha varato il piano di riarmo e che, America o meno, intende continuare a sostenere Kiev nelle sue legittime ragioni, senza tentennamenti e cedimenti.
Tra le due posizioni, legittime entrambe, il popolo della pace è finito in confusione: dar ragione a Trump, giammai, armarsi tanto meno, che fare?
Così abbiamo visto piazze riempirsi alla ricerca di una terza via, inesistente in natura, ma sufficiente a buttare la palla in tribuna: sì alla pace, ma no al negoziato di Trump, e no anche a una Europa che si arma per sostenere l'Ucraina al posto degli Usa.
Quindi la soluzione, inesistente in natura, sarebbe la resa di Putin senza concessioni, indotta non da una pressione militare o da un tavolo negoziale, ma da una pressione morale.Prima dei cannoni, per contare davvero, la politica dovrebbe abbandonare l'ipocrisia di percorrere strade impossibili pur di non decidere e non assumersi responsabilità.
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