«L'uomo di Mosca» in Serbia è finito nel mirino delle sanzioni Usa. Per la prima volta, dai tempi di Slobodan Milosevic, il Dipartimento di Stato americano ha messo sotto tiro Aleksander Vulin, il capo dell'intelligence di Belgrado (Bia), stretto alleato del presidente serbo Vucic. Soprannominato l'«uomo di Mosca» per la sua vicinanza alla Russia, sempre dichiarata, è il primo personaggio di spicco serbo sanzionato dall'invasione dell'Ucraina.
Belgrado è una delle poche capitali dell'Europa occidentale che non applica le sanzioni Ue alla Russia. Anche la Bosnia Erzegovina si astiene grazie al veto della componente serba. Formalmente il Dipartimento di Stato accusa il capo delle spie serbe di coinvolgimento nella criminalità organizzata e collusioni con trafficanti di droga e di armi.
«Vulin mantiene una relazione reciprocamente vantaggiosa con il trafficante Slobodan Tesic, che è sotto sanzioni statunitensi, aiutandolo a garantire il libero flusso di spedizioni illegali di armi attraverso il confine serbo», sostiene il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. In realtà il vero motivo è la vicinanza del responsabile dell'intelligence a Mosca.
Washington lo accusa di avere utilizzato i suoi incarichi per appoggiare il Cremlino facilitando «le attività maligne russe che danneggiano la sicurezza e la stabilità nei Balcani occidentali» e garantendo a Mosca una piattaforma per accrescere la sua influenza nella regione.
Sicuramente Vulin ha sostenuto, neanche tanto segretamente, i serbi del Kosovo. E nei suoi precedenti incarichi come ministro dell'Interno e della Difesa non ha mai nascosto i sentimenti patriottici panslavi e filorussi.
Proprio come responsabile politico delle Forze armate ha espanso la cooperazione fra lo Stato maggiore serbo e quello russo, ma pure favorito esercitazioni congiunte con unità della Nato compresi i nostri corpi speciali che si sono recati poche settimane fa in Serbia.
«La cocaina non è stata trovata nell'ufficio di Vulin, ma alla Casa Bianca. Ritengo che sia di estrema importanza condurre un'inchiesta», ha replicato a muso duro il presidente serbo Aleksander Vucic condannando duramente le sanzioni.
Il Movimento dei socialisti, il piccolo partito di governo guidato da Vulin, ha reagito sparando a palle incatenate. Le sanzioni che congelano i suoi fondi e beni, anche negli Stati Uniti, sono un «nuovo attacco alla Serbia e alle istituzioni serbe» da parte degli Usa, «dopo l'aggressione criminale» dei bombardamenti Nato del 1999, «il putsch dell'ottobre 2000 contro Slobodan Milosevic» e «l'appoggio all'indipendenza del cosiddetto Kosovo».
Il partito sostiene che per la Casa Bianca «la colpa di Vulin è non accettare che pure noi veniamo trascinati nel conflitto occidentale a Est (in Ucraina, nda). La sua posizione è che vuole la pace e non trovarsi dalla parte russofoba in una guerra fratricida».
La relatrice per il Kosovo al Parlamento europeo, Viola von Cramon, ha accolto con favore le sanzioni a Vulin: «Coloro i quali consentono l'invio illegale di armi promuovono Putin e il nazionalismo». «Vulin - ha aggiunto von Cramon, auspicando il fatto che Bruxelles segua l'esempio di Washington - è diventato sinonimo di corruzione, azioni di una marionetta russa e traffico di stupefacenti». Benzina sul fuoco che preoccupa Roma.
La strategia del governo italiano è allargare la Ue ai Balcani, a cominciare dalla Serbia proprio per
stemperare le tensioni in Kosovo e in Bosnia. L'«uomo di Mosca» sanzionato aveva dichiarato lo scorso ottobre che la Serbia dovrebbe riconoscere al più presto che «non vuole» entrare nell'Unione europea e che «non vi appartiene».
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