Sono le 12.51, nelle redazioni dei giornali arriva la notizia: «Il generale Roberto Vannacci andrà a processo per diffamazione». Le agenzie di stampa fanno rimbalzare «l'ultima ora». Lui, il militare prestato alla politica, eletto al Parlamento Europeo tra le file della Lega, non se lo sarebbe mai aspettato. Pensava di cavarsela, anche questa volta. Eppure, dovrà difendersi davanti ai giudici. Al centro dell'inchiesta, il presunto reato di diffamazione militare, che sarebbe celato tra le pagine del suo libro (divenuto in pochissimo tempo un bestseller) «Il Mondo al Contrario» (foto). Una diffamazione ai danni di un suo collega dell'esercito. Un collega, però, di cui non si sa nulla. Né nome né cognome. Di cui non saprebbe nulla nemmeno il generale. A dirlo è lui stesso. Allora perché trascinarlo in un'aula di tribunale? A chiederselo non è solo Roberto Vannacci, ma anche i suoi sostenitori e i suoi (almeno alcuni) compagni di partito che urlano già al complotto. Un fatto è certo, il gip del tribunale militare di Roma ha respinto l'istanza di archiviazione presentata dalla procura nei confronti del generale e ha chiesto per lui l'imputazione coatta. Un'imputazione che dovrà essere formulata entro i prossimi dieci giorni. Dunque, Vannacci, dovrà affrontare il processo. Non solo, l'eurodeputato della Lega rischia anche il carcere. A parlare è il codice militare che, per il reato di diffamazione prevede una pena tutt'altro che leggera: dai sei mesi ai tre anni di carcere. A prevederlo è l'articolo 227. Certo, a salvarlo in caso di condanna ci sarebbe lo scranno del Parlamento Europeo, uno scudo già sperimentato dalla compagna Ilaria Salis. Lui, l'uomo di ferro della Lega, però, si dice sereno: «Rispetto la decisione del giudice che ha rigettato una specifica e motivata istanza di archiviazione della procura ma sono ancora più convinto - ha sottolineato - della mia integrale innocenza e della mia totale estraneità a qualsiasi intento diffamatorio nei confronti di alcuno e, in special modo, nei confronti di un militare». Vannacci si sarebbe aspettato anche questa volta un'archiviazione. I vannaccini erano già pronti a festeggiare e lui, il generale, a gongolare. Eppure, questa volta, l'epilogo è diverso dall'altra inchiesta (sempre legata al contenuto del suo libro «scandalo», ndr) che lo aveva visto indagato per istigazione all'odio razziale. Ma lui va avanti, «a testa alta» per usare le sue parole - forte anche del consenso «che ogni giorno mi dimostrano i tanti che mi seguono e che provengono dai settori più disparati della società. Rappresenterò nelle sedi opportune tutte le mie ragioni», ha detto Roberto Vannacci, impegnato nella battaglia per rivoluzionare l'Europa.
Una battaglia disturbata solo dagli attacchi interni, da incursioni leghiste, che fanno notare come il militare non abbia pagato i contributi al partito. «Sono polemiche inesistenti» ha tuonato Matteo Salvini che, con lui, ora condivide non solo le stesse «battaglie», ma anche lo stesso destino: il banco degli imputati.
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