Lo stile di un uomo si vede quando i suoi nemici sono in difficoltà. C'è chi preferisce l'onore delle armi, c'è invece chi segue la massima di Samuel Johnson: «Trattare il tuo avversario con rispetto è dargli un vantaggio a cui non ha diritto». Prendete Carlo De Benedetti, ad esempio. Mentre il mondo politico si è stretto attorno a Silvio Berlusconi, ricoverato al San Raffaele perché positivo al Covid, l'ex editore di Repubblica intinge la lingua nel veleno e spara: «È stato molto nocivo per il Paese, è un grande imbroglione». «Sono le parole di un uomo in disarmo sotto tutti i punti di vista, dalle esperienze imprenditoriali fino ai rapporti famigliari, non possono suscitare altro che un sentimento di commiserazione», è stata la replica di Marina Berlusconi.
Non pago, l'85enne editore di Domani con la residenza in Svizzera ha ricordato i 562 milioni versati a Cir. «È stata la più grande goduria che io abbia avuto nella mia vita». Come dargli torto. Come imprenditore De Benedetti ha lasciato dietro di sé poche gioie, tanto odio, macerie e debiti. La sua Sorgenia, società elettrica fondata dalla Cir finanziata dalle banche e dall'austriaca Verbund è finita sull'orlo del crac per circa un miliardo di euro. Debito finito alle banche, per sua fortuna. Peraltro con lui la giustizia è stata in moltissimi casi benevola, e a pensar male - visto il verminaio dentro la magistratura scoperchiato dal caso Luca Palamara - non deve essere stata sempre una coincidenza, ma tant'è. Durante Tangentopoli, l'allora numero uno di Olivetti fu indagato per corruzione su forniture pubbliche, interrogato dal pool di Milano e arrestato il 31 ottobre 1993 dal gip Augusta Iannini (moglie di Bruno Vespa). Il procedimento è finito nel nulla per prescrizione, ma negli uffici pubblici ancora ridono per la fornitura di apparecchiature Olivetti vetuste e arretrate, come ammise lo stesso De Benedetti. Qualche anno fa la maximulta da 338 milioni di euro (poi transati a 175 milioni) a seguito di una condanna per elusione fiscale nel 1991 fu contestata al gruppo editoriale - oggi in mano agli Agnelli - solo dopo la fusione di Repubblica con Stampa e Secolo XIX. A lui non piace che gli scheletri nel suo armadio vengano fuori, come l'assoluzione in Cassazione nel 1998 che lo salvò dalla pesantissima accusa di bancarotta nel fallimento del Banco Ambrosiano, quello di Roberto Calvi, per cui era stato condannato in appello a 8 anni. O l'accusa di falso in bilancio per i ricavi gonfiati di Olivetti nel periodo '94-'96 patteggiata con tre mesi di reclusione che poi «l'odiato» Berlusconi cancellò riformando il reato nel 2003. O l'accusa di insider trading che l'ha sfiorato quando Consob e Procura di Roma indagarono sui suoi guadagni alla vigilia della trasformazione in spa delle banche popolari decisa dal governo Renzi. Mentre per lo stesso reato su alcuni titoli Olivetti De Benedetti ha patteggiato 50 milioni di lire.
Ma per l'ex editore di Repubblica, messo al bando persino dai suoi figli, l'imbroglione è Berlusconi, che avrebbe «abbassato il livello di civismo e di moralità». Mai quanto ha fatto Cdb con la sua ultima, infelice uscita.
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