Non puoi fare la pace se non riconosci che la guerra c'è, esiste, se non la chiami con il suo nome. Vladimir Putin per lunghi mesi ne ha fatto a meno. La parola vietata, sgradita, nascosta, grande come una bugia. Non c'è guerra sotto le bombe. Non c'è guerra negli occhi di chi muore. Non c'è guerra nei soldati russi stanchi di combattere. Non c'è guerra negli stupri, nelle torture, nella danza macabra intorno alle centrali nucleare, che è come giocare a dadi contro il destino. La armate russe non hanno mai invaso l'Ucraina e adesso non è vero che sono in ritirata. Putin ha proibito a tutti di chiamare guerra la guerra. Bisogna usare tre parole per girarci intorno: operazione militare speciale. E chi non ci crede, non si adegua, finisce in fondo al mare o nell'oblio di una prigione.
Tutto questa messinscena, senza senso, adesso non ha neppure più uno straccio di vestito. Putin, se fosse davvero Putin, ora si punirebbe. È che ormai neppure lui sa come ritrovarsi. È smarrito a se stesso o si è convinto a battezzare la guerra per fare i conti con il suo fallimento. Ecco allora che parlando con i giornalisti a Mosca, in una giornata di quasi Natale, fa un passo verso la realtà. «Il nostro obiettivo non è di diminuire gradualmente questa guerra, questo conflitto, ma, al contrario, di porre fine a questa guerra. Ci siamo impegnati e continueremo a lottare per questo». Non lo aveva mai fatto. Una parola cancellata dal vocabolario, una bestemmia contro l'illusione di un impero, contro la patria, contro la consapevolezza. Il resto è ancora una menzogna, qualcosa per convincere gli altri più che se stesso, il segno di una debolezza.
L'uomo del Cremlino paga ogni giorno che passa un grammo di autorevolezza. Non è ancora arrivata la crisi, il tradimento, che lo farà cadere. È certo però che comincia a fare meno paura. Il dittatore si può dissacrare. Si becca perfino, con avventata perfidia, la provocazione di Nikita Yuferev, consigliere comunale di San Pietroburgo in cerca di gloria. Lo zar è stato denunciato al procuratore generale Krasnov e al ministro degli Interni Kolokoltsev per disfattismo e falso ideologico. «Le parole di Putin possono essere ritenute legalmente responsabili della diffusione di falsi sulle azioni dell'esercito russo». E poi fa notare: «Diverse migliaia di persone sono già state condannate per tali parole sulla guerra». Ci sta.
Ora che la guerra è guerra Putin può pensare fino a che punto portarla. Il dilemma è come uscire da questa scommessa. Il costo è già proibitivo. Non c'è quasi nulla che sia andato come doveva andare. L'Ucraina è persa per sempre e c'è una frattura che difficilmente permetterà un giorno di vedere a Kiev un amico di Mosca. Tutto questo però ora non conta più. Non si può tornare al Natale dello scorso anno.
La partita di Putin si riduce a cercare qualcosa a cui aggrapparsi per non perdere completamente la faccia. Serve una via d'uscita dalla disavventura ucraina. Ecco allora il senso di chiamare la guerra col suo nome. È uno spiraglio di pace.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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