Il vero obiettivo Usa è l'alleanza globale con India, Arabia, Israele ed Egitto

Il gruppo "I2U2" per contrastare Brics e Via della Seta passa dalla pace a Gaza

Il vero obiettivo Usa è l'alleanza globale con India, Arabia, Israele ed Egitto
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La «Riviera del Mediterraneo» evocata da Donald Trump e costruita sulle rovine di Gaza probabilmente non vedrà mai la luce. Ma questo non preoccupa né il presidente Usa, né gli artefici delle sue strategie. Dietro la provocazione si cela un progetto geopolitico e strategico ben più articolato. Una visione che alla fine dovrà fare i conti con i «no» di Egitto e Giordania e quello ancor più pesante dell'Arabia Saudita di Mohammed Bin Salman. A gettare le fondamenta della nuova strategia ci ha pensato Joe Biden inaugurando, nel settembre 2021, il primo summit dell'«I2U2 Group» un asse strategico composto da India, Israele, Emirati Arabi e Stati Uniti. Dietro quell'asse definito anche «alleanza indo-abramica» vi è l'idea, cara all'«mministrazione Trump, di mettere insieme la potenza dell'America, le risorse energetiche dei Paesi del Golfo, le capacità tecnologiche di Israele e il potenziale economico di una nazione come l'India. I terminali mancanti del progetto sono l'Egitto, cuspide della regione mediorientale, e l'Arabia Saudita considerata, visti i progetti di sviluppo messi sul tavolo da Bin Salman, la futura dinamo economica del Golfo.

La dimensione geo-politica dell'I2U2 basta a far comprendere come il principale obbiettivo della coalizione sia il consolidamento di un'alleanza politica, commerciale e tecnologica capace di contrapporsi alla Via della Seta cinese. Senza dimenticare l'esigenza americana di convincere indiani e sauditi ad abbandonare il vivaio dei Brics condiviso con Pechino e Mosca. Ma per spingere Arabia Saudita ed Egitto a convergere sulla rotta dello I2U2 Washington ha bisogno d'individuare una formula capace di arrestare quel conflitto palestinese che lacera da quasi 80 anni il Medioriente. L'odio generato dalle stragi del 7 ottobre e i quindici mesi di guerra a Gaza hanno reso definitivamente inattuabili formule come «due stati per due popoli» o «pace in cambio di terra» considerate fin qui il fondamento di una possibile intesa. Torna così ad affacciarsi quell'idea di «pace in cambio di prosperità» messa sul tavolo nel 2019 da Jared Kushner, genero di Trump, quando progettò gli Accordi di Abramo. In base a quell'idea i palestinesi dovrebbero accontentarsi di uno stato senza contiguità territoriale privato probabilmente di una Valle del Giordano ceduta ad Israele e degli insediamenti già occupati dei coloni.

In cambio di questo brutale ridimensionamento geografico potrebbero però contare sul patrocinio politico ed economico di Stati Uniti ed Arabia Saudita. Mentre Washington s'impegnerebbe a mettere sul tavolo, stando a quanto promesso da Kushner nel 2019, qualcosa come 50 miliardi di dollari, l'Arabia Saudita diventerebbe la vera tutrice del nuovo stato. In quest'ottica i sauditi si occuperebbero di sottrarre Gaza al controllo di Hamas, ricostruirla e trasformarla in un sorta di nuova Dubai. La rinuncia palestinese a uno stato autenticamente sovrano e indipendente verrebbe ricompensata con la garanzia di un benessere economico senza precedenti.

Come nel caso dei dazi, o delle spese militari al 5 per cento per la Nato, dietro la provocazione di «Gaza Riviera» si cela, insomma, un progetto non necessariamente migliore, ma sicuramente più articolato e complesso. Un progetto messo a punto e condiviso dalle forze che hanno finanziato il ritorno di The Donald alla Casa Bianca.

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