Vigile attesa, guerra tra giudici sul "protocollo Speranza"

l Consiglio di Stato ha sospeso la sentenza il Tar del Lazio con cui era stato annullato la circolare sulle terapie domiciliari per guarire il Covid. Ecco cosa può succedere adesso

Vigile attesa, guerra tra giudici sul "protocollo Speranza"

Doveva essere una questione medica. Diciamo scientifica. E invece l’hanno trasformata in una guerra legale, una battaglia a colpi di sentenze. Da una parte il Tar del Lazio, che annulla la circolare del ministero della Salute su “paracetamolo e vigile attesa”. E dall’altra il Consiglio di Stato, che risponde oggi sospendendo la decisione del tribunale amministrativo e ripristinando - de facto - il “protocollo Speranza”.

Sia chiaro, nulla è ancora deciso. Il decreto monocratico con cui il presidente del Consiglio di Stato, Franco Frattini, ha sospeso la sentenza è temporaneo: la decisione del Tar, che accoglieva il ricorso del Comitato per le cure domiciliari, verrà discussa il prossimo 3 febbraio in una camera di consiglio per la trattazione collegiale. Solo a quel punto i giudici amministrativi di secondo grado prenderanno una decisione definitiva. Nel decreto di sospensione, però, Frattini una lettura del protocollo la dà, specificando che la circolare contiene “raccomandazioni” e non “prescrizioni vincolanti”. Dunque non avrebbe compromesso la libera scelta terapeutica dei singoli medici.

Il Tar del Lazio non la pensa così, ovviamente. A finire sul banco degli imputati sono due parti della circolare: quella in cui “nei primi giorni di malattia da Sars-Cov-2, prevede unicamente una 'vigilante attesa' e somministrazione di fans e paracetamolo” e quella in cui “pone indicazioni di non utilizzo di tutti i farmaci generalmente utilizzati dai medici di medicina generale per i pazienti affetti da covid”. Secondo i giudici amministrativi il contenuto della nota ministeriale sarebbe "in contrasto con l'attività professionale così come demandata al medico nei termini indicati dalla scienza e dalla deontologia professionale”. Un colpo basso, per il dicastero di Speranza. “La prescrizione dell’Aifa, come mutuata dal Ministero della Salute, - si legge nella sentenza - contrasta con la richiesta professionalità del medico e con la sua deontologia professione, imponendo, anzi impedendo l’utilizzo di terapie da questi ultimi eventualmente ritenute idonee ed efficaci al contrasto con la malattia Covid 19 come avviene per ogni attività terapeutica”.

Dopo la decisione del Tar, l’avvocatura dello Stato per conto del ministero deve aver fatto ricorso al Consiglio di Stato. Che in parte le ha dato ragione. Per presidente Frattini, infatti, il documento del dicastero "contiene, spesso con testuali affermazioni, ‘raccomandazioni’ e non ‘prescrizioni', cioè indica comportamenti che secondo la vasta letteratura scientifica sembrano rappresentare le migliori pratiche, pur con l'ammissione della continua evoluzione in atto". In sostanza, nessun obbligo. “Non emerge - scrive - alcun vincolo circa l'esercizio del diritto-dovere del medico di scegliere in scienza e coscienza la terapia migliore, laddove i dati contenuti nella circolare sono semmai parametri di riferimento circa le esperienze in atto nei metodi terapeutici a livello anche internazionale”.

Sulla questione vanno notate almeno un paio di questioni. Da una parte, ricorrendo al Consiglio di Stato il ministero sta cercando di difendere la propria circolare sulle cure domiciliari anti Covid. Dall’altra, non sono pochi i medici che - effettivamente - la considerano ormai “sorpassata”. Se non del tutto ignorata dagli operatori sul campo.

Per sminuire la sentenza del Tar, infatti, la Stampa nei giorni scorsi si era prodigata ad intervistare esperti del settore. Per l’assessore alla Sanità del Lazio Alessio D’Amato, per dire, “con la diffusione delle cure monoclonali e antivirali il discorso della vigilante attesa era comunque già venuto meno”. Della stessa idea anche Filippo Anelli, presidente della Federazione degli ordini dei medici, secondo cui “il protocollo del ministero della Salute è ampiamente superato”. Per il vicesegretario nazionale del Fimmg, Pier Luigi Bartoletti, addirittura “non credo proprio che alcun medico si sia attenuto ad esse”. Insomma: approccio personalizzato, cure stabilite in base ai sintomi, responsabilità del medico. E chissenefrega di quello che dispongono l’Aifa e il ministero.

Domanda: ma se “nessun medico si è attenuto a quelle prescrizioni”, perché è ancora in vigore? E perché il ministero s’è preso la briga di ricorrere al Consiglio di Stato? E perché i giudici amministrativi l’hanno

nuovamente ripristinata? Fanno notare i maliziosi: se erano solo raccomandazioni, a maggior ragione i medici ormai sono liberi di fare come credono. E di mandare in tribuna "paracetamolo e vigile attesa".

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