Il vizietto di Matteo: evitare le contestazioni e cercare la passerella

Alluvioni, stragi di immigrati, scandalo Mafia Capitale, massacro di Palagonia... Quando c'è rischio di fischi, il premier sta alla larga

Il vizietto di Matteo: evitare le contestazioni e cercare la passerella

«No a passerelle», è il motto presidenziale dell'era Renzi. Coniato un anno fa, quando Genova finì sotto il fango dell'ultima alluvione e il premier non si presentò, come gli chiedevano in tanti. Allora sembrò la rinuncia a un protagonismo fuori luogo e ipocrita. Poi con il tempo si è fatta strada un'interpretazione diversa che ieri è stata consacrata dal volo last minute a New York per la finale degli Open di tennis.

Al presidente del Consiglio le passerelle piacciono eccome, ma solo se sotto non ci sono le macerie. La ribalta va bene se non si trova sopra qualche terreno politicamente accidentato. Il bagno di folla si può fare, a patto che non ci siano rischi di incrociare qualche contestatore. I dati si commentano, ma solo se sono positivi.

Non che ci siano rischi reali. La popolarità non cala per qualche fischio, ma la regola che si è dato Renzi è: vietato perdere quando si è sotto i riflettori.

La logica è ineccepibile, soprattutto quella ce è dietro la decisione di volare a Flushing Meadows per vedere la sfida tra Flavia Pennetta e Roberta Vinci. C'è chi ha scomodato la teoria dei giochi per dire che il premier italiano ha colto al volo una occasione «win-win». Non ci saranno perdenti. O meglio, una delle due italiane perderà, ma lui no. Intascherà comunque la vittoria (insieme alla tennista).

Partecipa a una finale sportiva importante come hanno fatto tanti suoi predecessori e anche presidenti della Repubblica, ma senza prendersi quel 50% di rischio fisiologico in questi casi. Comunque vada, Renzi farà la figura di Pertini alla finale dei mondiali di calcio del '82 contro la Germania. Quella di Giorgio Napolitano a Berlino per Italia contro Francia nel 2006. Non gli toccherà la sorte di Mario Monti, che agli Europei del 2012 andò allo stadio per assistere alla debalce della nazionale. Lui, l'ex premier, una parte di rischio se l'era accolata.

Renzi sta alla larga dalle grane. Assente fisicamente nei luoghi dei disastri, come la Genova dell'ottobre 2015. Sordo ai richiami di chi avrebbe voluto, se non una visita, una telefonata. Ad esempio i familiari dei coniugi Solano uccisi a Palagonia. Omicidio per il quale è stato accusato un ospite del Cara di Mineo. Non un tweet.

L'accoglienza non sarebbe stata delle migliori. Come quella toccata al sottosegretario alla presidenza Claudio De Vincenti che lo ha sostituito alla Fiera del Levante. Contestato da sindaci salentini contro il gasodotto Tap. Decisamente meglio gli applausi degli Open.

Per evitare un gruppo di contestatori, alla fine di agosto cambiò il programma della visita all'Aquila. Due giorni prima era approdato per la prima volta al Meeting di Rimini. L'anno precedente aveva evitato. Una sfida a Cl, si disse. In realtà era troppo fresca la nomina a premier e una contestazione non ci voleva. È tornato solo quando è stato sicuro di indossare gli unici abiti che gli calzano, quelli del vincente.

Non è solo tattica. Ma nemmeno una strategia pianificata. «È tutto istinto», assicura un esponente politico vicino al premier. Quindi silenzio quando l'argomento non interessa. Twitter a raffica sui dati e statistiche positive su crescita e lavoro. Silenzio quando gli stessi dati vengono smentiti.

In fuga dai Consigli europei dai quali non può uscire nessun annuncio utile alla sua immagine. Palesemente assente dai tavoli sindacali, su crisi aziendali o sulla concertazione. Occasioni magari utili, ma dalle quali non si esce necessariamente vincenti. Come le finali di calcio.

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