Wall Street sfiducia Trump. Spaventano i dazi alla Cina

A sorpresa le tasse sulle merci di Pechino balzano al 145% invece del 125% annunciato. Il crollo delle Borse Usa rallenta pure l'Europa

Wall Street sfiducia Trump. Spaventano i dazi alla Cina
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Prima l'euforia per i dazi in pausa per tre mesi, poi la delusione e la nuova frustata dei mercati a Donald Trump. L'ondivaga comunicazione del presidente statunitense sui dazi manda di nuovo all'aria Wall Street, con l'S&P 500 (il paniere di titoli più importante della Borsa americana) che a metà seduta perdeva il 5,4% e il Nasdaq il 6%, per poi ridurre i cali dopo le parole di Trump che ha detto: «Ci piacerebbe trovare un accordo con la Cina. Credo che finiremo per trovare una soluzione». A provocare l'ondata di sfiducia (perché di questo si tratta) è stata la sorpresa negativa di dazi ancora più duri alla Cina: dopo l'ultimo aumento, infatti, le tariffe statunitensi su Pechino ora ammontano al 145%, secondo quanto riportato da un funzionario della Casa Bianca, e non al 125% come aveva annunciato il presidente Trump. L'ordinanza esecutiva specifica che l'aliquota «reciproca» è balzata dall'84% al 125% da un giorno all'altro. Ma questo ammontare è da sommare al dazio del 20% applicato a causa della vicenda fentanyl, con un totale che arriva pertanto al 145 per cento. Perde terreno il dollaro, ai minimi da ottobre 2024, che ieri si è svalutato sull'euro a quota 1,12.

Tra l'altro, la seduta non era iniziata benissimo nonostante la sbornia di mercoledì. Lo stato delle cose è stato fotografato bene dagli analisti di Morgan Stanley, secondo i quali il congelamento dei dazi Usa «aiuta ma non riduce l'incertezza», anzi, la prolunga. L'Europa, che si svegliava ancora ignara dell'ennesima giravolta del tycoon, ha iniziato la seduta in piena luna di miele per poi rallentare in modo netto sul finale. Alla fine, Milano - la Piazza che nei giorni scorsi aveva sofferto di più - è stata la migliore (+4,7%), con Unicredit a svettare su tutti (+8,3%), seguita da Tim (+8,3%) e Banco Bpm (+7,5%). Ma la sinfonia è stata generale, con nessun titolo in ribasso. Positive anche le Borse di Francoforte (+4,5%), Parigi (+3,8%) e Londra (+3%).

Sta di fatto che la situazione da montagne russe sul mercato americano è inevitabile che avrà delle ripercussioni anche sui listini europei all'apertura di stamane. Tornando però al mercato Usa, ieri il titolo di Apple è arrivato a perdere oltre il 6%, mentre due giorni fa aveva chiuso in rialzo del 15% registrando la sua migliore seduta dal gennaio 1998. A spaventare è un braccio di ferro tra le due superpotenze economiche, Usa e Cina, e un titolo come Apple - che ha un legame importante con Pechino - non può non subirne le conseguenze. Lo stesso si può dire di Tesla, che dopo aver sprintato del 22,6% alla chiusura di mercoledì, ieri accumulava perdite di oltre il 10 per cento. A stemperare il nervosismo dei listini non è bastato nemmeno un buon dato sull'inflazione statunitense, che in marzo ha registrato il primo calo mensile (-0,1%) dal 2020 e anche il dato annuale è sceso più delle attese, passando dal 2,8% al 2,4 per cento. Una circostanza che, unitamente alle previsioni di un rallentamento dell'economia a stelle e strisce, aumenta le possibilità che la Federal Reserve, la banca centrale americana, arrivi a tagliare più del previsto i tassi d'interesse.

Ieri la situazione sui titoli di stato americani, i Treasury, è rimasta tranquilla (il rendimento del decennale si è stabilizzato al 4,36%). Sarebbe stato proprio il rischio di un'escalation dei rendimenti - probabilmente scatenata da vendite cinesi sul debito americano - a convincere Trump a fermarsi sui dazi. «Il presidente Trump basava la sua tolleranza alle vendite in Borsa sulla discesa del prezzo del petrolio e su rendimenti Treasury in calo», commenta Gianclaudio Torlizzi, Fondatore T-Commodity e Consigliere del ministro della Difesa, «appena ha visto che i rendimenti hanno iniziato a impennarsi, ha dovuto fare un passo indietro».

Nel settore delle commodity, il petrolio ha segnato un'altra battuta d'arresto con il WTI a New York in calo intorno a 60

dollari al barile. Mentre l'oro continua ad aumentare di valore, a quota 3.167 dollari l'oncia. Sul fronte dei titoli di Stato europei, ieri lo spread tra i Btp italiani e i Bund tedeschi è arretrato (-5,3%) a 123 punti base.

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