Xi abbraccia Bin Salman: è l'asse anti-Usa

Accordi per quasi 30 miliardi di dollari. Ma soprattutto una sfida a Biden

Xi abbraccia Bin Salman: è l'asse anti-Usa

È bastata vedere l'accoglienza che la monarchia saudita ha riservato ieri a Xi Jinping, al suo terzo viaggio da inizio 2020, per capire quanto gli equilibri globali si stiano modificando. E quanto l'Arabia Saudita, considerata a lungo un «satellite» degli americani in Medio Oriente almeno su certi dossier, stia invece inviando a Washington segnali di una percezione datata; già arrivati nelle scorse settimane dal principe ereditario Mohammed bin Salman. Che ora apre alla Cina.

I tempi vedono una potenza cinese che non s'accontenta più d'essere la seconda economia mondiale. Pechino vuol contare di più anche in Medio Oriente. E la tre giorni di Xi a Riad sigilla il nuovo corso, che la portavoce del ministero degli Esteri cinese Mao Ning riassume in «un avvenire radioso per la nostra partnership». Il numero 1 del Dragone firmerà infatti più di 20 accordi con Riad, per un valore di oltre 29,3 miliardi di dollari, insieme a un partenariato strategico e un piano per armonizzare l'attuazione della Vision 2030 della monarchia, e una diversificazione della Belt and Road Initiative cinese. «Esplorare idee», dicono da Pechino. Tradotto: la nuova Via della Seta passa anche dalla terra saudita, con Xi a casa del miglior alleato statunitense della galassia islamica, e con gli Usa alla finestra.

Tecnologia, turismo, armi e soprattutto geopolitica. Non c'è solo il petrolio sul tavolo, con cui la monarchia assoluta vince facile il titolo di primo fornitore del Dragone, e che i sauditi hanno già usato in questi mesi per mandare segnali d'insofferenza a Washington. L'amministrazione Biden è sospettata da Riad di voler ridimensionare la moral suasion che per decenni ha dato garanzie di sicurezza ai sauditi nell'area, dove l'Iran non rinuncia all'arma nucleare. E se la veste di «garante» si andrà via via indebolendo, il Dragone dice d'esser pronto a scalzare Washington anche dal suo storico ruolo nella regione.

La tappa di Xi culminerà infatti con il vertice con i Paesi del Golfo (il cui interscambio con Pechino vale 2.037 miliardi di euro, quello con l'Ue, per dire, è di «soli» 1.300 miliardi e di 62,2 con gli Usa) e soprattutto con il primo summit sino-arabo per la cooperazione e lo sviluppo. Almeno 14 capi di Stato contano i secondi per incontrare Xi. E la viceministra degli Esteri egiziana ha già elogiato la Cina perché «non interferisce con la politica interna dei Paesi, siamo sulla stessa linea». Altro implicito j'accuse a Washington.

Insomma l'enfasi sfoderata dai media cinesi per «un evento epocale nella storia delle relazioni sino arabe» ha una sua ragion d'essere. Certo, gli ottant'anni d'alleanza strategica Usa-Riad non si cancellano con due colpi di cannone sparati per omaggiare Xi. Ma se la tv di Stato manda in diretta le immagini del presidente cinese mentre scende i gradini del suo aereo all'aeroporto King Khalid, dove è stato accolto dal principe Faisal bin Bandar bin Abdulaziz, governatore della regione di Riad, e dal ministro degli Esteri, qualcosa vuol dire. Dall'America, il coordinatore della Comunicazione strategica del Consiglio di Sicurezza nazionale John Kirby mette le cose in chiaro: «Non chiediamo alle nazioni di scegliere tra Stati Uniti e Cina». La Casa Bianca non nasconde però un certo risentimento. Il Dragone vuol mangiarsi pure il Golfo (dopo l'Africa). E battere l'America sul suo stesso terreno d'azione internazionale: il Medio Oriente.

«La Cina è un amico sincero», dicono già da Riad. Influenza economica e commerciale garantisce stabilità. E nonostante gli ultimissimi segnali di vicinanza inviati da Washington alla culla dell'islam - vedi le accuse archiviate al principe Mbs per l'omicidio del giornalista Jamal Khashoggi - Xi prova ad approfittare degli alti e bassi tra i vecchi alleati.

Dopo la scelta dell'Opec+ (a trazione saudita) di tagliare le produzioni di petrolio, Kirby ha ammesso che le relazioni con l'Arabia Saudita potrebbero essere rivalutate da Biden. «Nessuna sorpresa», dunque: la Casa Bianca si aspettava che Pechino cercasse di «espandere la sua influenza». Che lo faccia con un alleato fedele è però un guanto di sfida mica da ridere.

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