Xi, alleanze contro il "bullo Usa". E ferma l'export delle terre rare

Il leader cinese in Vietnam, prima tappa nel sud-est asiatico per costruire un nuovo fronte nella guerra commerciale: "Uniti contro il protezionismo unilaterale di Trump"

Xi, alleanze contro il "bullo Usa". E ferma l'export delle terre rare
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«Le guerre commerciali non hanno vincitori e il protezionismo non ha futuro», sostiene Xi Jinping. Eppure, ecco le rappresaglie del Dragone ai dazi Usa al 145%. Nel mezzo della tempesta innescata dal Trump II, il presidente cinese punta a restrizioni sull'export di metalli pesanti, minerali e magneti quasi integralmente raffinati in Cina per dare una zampata commerciale e mettere in ginocchio produzioni tecnologiche e fornitori anche dell'esercito americano. Pechino avrebbe già bloccato nei suoi porti merci cinesi legate alle terre rare. Secondo il NYT, componenti per Tesla, per missili, semiconduttori e tecnologie spaziali, visto che circa il 99% delle terre rare pesanti è Made in China come il 90% dei magneti ad alta potenza. Poi Xi ha preso un aereo per apparecchiare un fronte anti-Usa nel sud-est asiatico: tappa ad Hanoi, in corteggiamento cultural-economico su quel Vietnam tartassato dalle tariffe Usa (+46% alla dogana) prima di recarsi in Cambogia e poi in Malesia.

Xi ha detto che la Cina attribuisce al Paese «la massima priorità nella sua diplomazia di vicinato». Nonostante il Vietnam debba un enorme grazie all'America per la crescita economica recente, non ha mai dimenticato il passato; gli orrori della guerra combattuta da uomini americani sul suo territorio. Xi è stato invece accolto ad Hanoi con 21 colpi di cannone, picchetto d'onore ed elogi dal giornale di stato. Il presidente cinese ha proposto ai leader di «contrastare insieme il bullismo unilaterale» dell'America; espandere i legami nei settori emergenti del 5G, intelligenza artificiale e rinnovabili; un boost di cooperazione nelle catene industriali e approvvigionamento.

Chiaro l'obiettivo. Gli ammiccamenti cinesi puntano a snaturare quella «diplomazia del bambù» promossa finora strategicamente dal Vietnam: rapporti flessibili con Stati anche antagonisti tra loro (Usa e Cina). Il governo di Hanoi non ha infatti reagito con contromisure agli States. E Xi ieri è andato in pressing, sul «bambu», per ribaltare lo schema. Ha promesso che darà alla Repubblica del sud-est asiatico sostegno nel percorso verso il socialismo più «adatto alle sue condizioni nazionali». E visto che l'America aveva spalancato le dogane al Vietnam negli ultimi anni, Xi ha colto al balzo l'occasione candidando la Cina ad assorbire possibili perdite; aiutarsi, visitarsi più spesso «come fanno i parenti»; ha firmato 45 documenti di cooperazione a 360°, offrendo pattugliamenti congiunti in mare e nuove rotte. Da domani, flotte navali dei due Paesi in ricognizione nel Golfo di Beibu per migliorare anche la capacità dei due eserciti di «salvaguardare la sicurezza», in un mare dove le alleanze militari conteranno sempre di più, viste le mire cinesi su Taiwan.

Segnali di intese non solo commerciali ma pure militari: che si sposano con l'attivismo di Pechino sul piano energetico (La China National Offshore Oil Corporation, colosso petrolifero del Dragone, ha annunciato esplorazioni di petrolio e gas nel Mar cinese meridionale); dal Golfo di Beibu, si snoda poi il New International Land-Sea Trade Corridor, che connette le regioni occidentali della Cina ai mercati globali. Il Vietnam potrebbe usufruirne. Ad Hanoi, in qualità di segretario del Partito, Xi ha incontrato il suo omologo comunista vietnamita To Lam. Non solo merci e scambio di servizi. Ma l'occasione per far progredire lo spazio di mercato attorno all'ideologia a danno dell'America. Il 30 aprile nella ex Saigon emissari cinesi potrebbero partecipare perfino alla parata che celebra la disfatta Usa.

Il Dragone graffia su più punti nella sfida Usa-Cina.

E dopo aver già aver ricevuto il premier spagnolo Sánchez seminando intese con l'Europa pur senza Via della Seta, Xi piccona anche in casa, dal cinema ai diritti d'autore: ridurrà «moderatamente» il numero di film Usa proiettati in risposta ai dazi per demolire un vanto dell'industria americana dopo anni di reciproco soft power. La dinamica sfidante di Trump ha rivitalizzato pure il sogno del Partito comunista di fare della Cina «una potenza cinematografica» entro il 2035, come da piano quinquennale varato nel 2021.

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