A lle sette del mattino Luca Zaia è già davanti alle telecamere al K3, il quartiere generale leghista di Villorba, alle porte di Treviso. Volto disteso e camicia appena stirata, il governatore veneto riconfermato a furor di popolo ha dormito il sonno del giusto senza angosciarsi per uno zero virgola in più o in meno.
Zaia è il candidato che ha trascinato più gente alle urne (il Veneto ha il record di affluenza al voto regionale), ha incassato il maggior numero di preferenze (oltre 1,1 milioni contro le 980mila del campano De Luca) e ha superato la soglia del 50 per cento dei suffragi. Un trionfo.
È quello che ha condannato il Pd a una figuraccia e ha esorcizzato i timori di un crollo dopo la scissione interna alla Lega operata da Flavio Tosi. Se il sindaco di Verona non se ne fosse uscito dal Carroccio, ora Zaia festeggerebbe con il 62 per cento anziché con il 50,1, e sarebbe stato un successo di proporzioni maggiori anche di quello, storico, di cinque anni fa.
Soltanto medaglie, dunque, sul petto del governatore che si permette il lusso di guardare tutti, ma proprio tutti, dall'alto al basso: «I veneti hanno dato un segnale unidirezionale. Mi hanno detto: non ti curar di loro e continua ad amministrare bene». Zaia ha umiliato la Moretti e schiantato le ambizioni di Tosi, giunto soltanto quarto, dietro anche al grillino Jacopo Berti sia pure per 300 voti. Ha schiacciato Forza Italia, che in Veneto è ferma al 6 per cento, e soprattutto ha tenuto a bada Matteo Salvini. La lista della Lega Nord ha preso il 17,8 ma il primo partito del Veneto è la lista Zaia con il 23,1.
Questo distacco dal Carroccio «doc» è sicuramente un premio personale per Zaia, un riconoscimento alle sue doti di amministratore. Ma è anche frutto di un'operazione abile, che ha attirato nell'orbita del Carroccio migliaia di elettori veneti che mai avrebbero scelto a cuor leggero un partito lepenista com'è diventato quello di Salvini, ma non hanno problemi a mettersi nelle mani di uno come Zaia. Secondo i suoi guru elettorali, il 18-20 per cento del consenso proviene da una sinistra pragmatica. Il nuovo doge veneto ha ringraziato il suo partito per il «sacrificio» di rinunciare a qualche punto percentuale. Ma questo risultato consentirà al governatore di tenere le distanze dalle posizioni più estreme di Salvini, al quale comunque Zaia non intende fare ombra: «Lui giustamente esprime una leadership nazionale che oggi si pone come unica reale alternativa a Matteo Renzi - ha spiegato - mentre io mi occupo di amministrare bene la regione. Il programma di Salvini è all'altezza di un governo nazionale».
Per il governatore la sua vittoria non è stata una passeggiata come farebbero pensare i numeri schiaccianti. «Un anno fa, il 4 giugno, scattavano gli arresti per una trentina di persone coinvolte nell'inchiesta del Mose. Io e la mia amministrazione non siamo stati sfiorati ma lo scandalo poteva danneggiare l'immagine della Regione. Tre mesi fa abbiamo vissuto lo strappo interno. Siamo stati colpiti da alluvioni che il governo di Roma ha pressoché ignorato. Solo un gruppo di entusiasti come noi poteva affrontare con forza questa situazione. E non dite che avevamo di fronte candidati deboli, si dice sempre così quando vince uno della Lega».
Zaia rispolvera una parola appannata, autonomia. «La chiederemo subito a Roma e dovranno ascoltarci questa volta se non vogliono perdere ulteriore credibilità. Non faremo sconti all'esecutivo centrale per difendere i temi che stanno a cuore a questi territori.
La proposta per l'autonomia del Veneto è datata 2007, c'era ancora Galan, e resta valida». La prima iniziativa legislativa sarà invece il varo di un piano straordinario per il lavoro da 760 milioni di euro finanziati dal Fondo sociale europeo: ecco un leghista per cui Bruxelles non deve soltanto vergognarsi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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