Zona rossa, ecco le carte che inchiodano Pd e Conte

Fontana voleva misure più severe, lo scrisse pure il "Corsera". Invece i sindaci della Bergamasca no

Zona rossa, ecco le carte che inchiodano Pd e Conte

I morti per il Covid non votano ma spostano voti. E chi ha la memoria corta (e la coscienza sporca) prova a sfruttarli, addossando al governatore della Lombardia Attilio Fontana tutte le colpe della pandemia. Ma questa bieca operazione politica è destinata a infrangersi malamente contro una mole di prove, forse già in mano ai pm, che svelano cosa successe esattamente nella Bergamasca e in Lombardia in quei sfortunati giorni prima del lockdown.

Partiamo dalla lettera di Fontana del 28 febbraio: chiedeva il mantenimento di una zona gialla «fortificata» dal divieto di assembramento. Ma i Comuni lombardi e della Bergamasca, a guida Pd, che cosa chiedevano? Potevano chiudere i propri territori, come fece il sindaco di Codogno. Perché non lo fecero? Ci sono delle circostanze, che è stato possibile ricostruire su base documentale, che fanno emergere qualche sospetto. Per esempio a Nembro: nell'epicentro del focolaio della Bergamasca, opera la società Persico, che produce componenti per l'imbarcazione Luna Rossa e che ha finanziato esponenti di spicco del Pd come Giorgio Gori (sicuramente con 10mila euro nel 2017). Da alcuni documenti in mano al Giornale sappiamo che il 9 marzo 2020 la Persico Spa richiedeva l'autorizzazione per un trasporto speciale da Nembro a Genova-La Spezia in elicottero. Parti di un catamarano che sarebbe dovuto andare a Cagliari a una prestigiosissima competizione internazionale con Luna Rossa, prevista ad aprile 2020. Piccolo particolare: dalla documentazione di cui siamo in possesso emerge che l'allora sindaco Pd di Nembro Claudio Cancelli sarebbe stato un consulente della Persico. È per questo motivo che Nembro - a differenza di Codogno, che il 10 marzo 2020 non registrava più un solo caso Covid dopo un tempestivo lockdown - non è diventata zona rossa? C'era un conflitto d'interessi tra la tutela della salute pubblica del territorio e gli impegni economici di un'azienda, fiore all'occhiello dell'Italia nel mondo? Tra zona rossa e Luna rossa? I giornaloni a Cancelli non l'hanno mia chiesto. Né a lui né a Gori, che dalla Persico ha legittimamente ricevuto dei fondi proprio per correre contro Fontana nelle ultime Regionali, e che il 5 marzo si lamentava per le misure rigide con l'Eco di Bergamo: «La città sta soffrendo troppo». Luca Fusco, uno dei familiari delle vittime della Bergamasca al Giornale disse: «Confindustria fece il suo dovere a fare pressioni per non chiudere, è la politica che deve decidere». Ma è il Pd che, anziché chiedere di chiudere Bergamo, predicava apericene al grido di #Bergamononsiferma assieme all'altro dem Beppe Sala (che con il Covid non ha toccato palla) e all'allora leader Pd Nicola Zingaretti, in trasferta sui Navigli a Milano a bere spritz con la comunità cinese. Perfino il direttore del Corriere della Sera Lorenzo Fontana proprio il 28 febbraio vergava un editoriale «aperturista»: «È il momento di dire basta (...) a quegli allarmi che hanno creato panico... È tutta l'Italia che non deve fermarsi e ripartire». È forse lui il Fontana da contestare? Il governatore al Corriere il giorno dopo predica prudenza: La Lombardia chiede nuovi stop, titola in prima pagina il quotidiano di via Solferino il 29 febbraio. Eccola, la memoria di cartapesta sbugiardata. La Lombardia e gli enti locali hanno responsabilità sulla vicenda? Sarà un giudice a stabilirlo, a patto che l'inchiesta monumentale che la Procura di Bergamo sta faticosamente cercando di chiudere non venga strattonata a destra e a sinistra. Servirebbe una commissione parlamentare per stabilire il peso «politico» di certe scelte scellerate del governo guidato da Giuseppe Conte. Nessuno dei giornaloni che sparano a palle incatenate su Fontana - con l'obiettivo patetico ma dichiarato di indebolire il centrodestra in vista delle Regionali - sembra ricordare che, per colpa di una pasticciata riforma del Titolo V della Costituzione (firmata da Massimo D'Alema) le competenze sulla salute sono palleggiate tra Palazzo Chigi e governatori, neanche fosse il pallone dei Mondiali in Qatar. Ma la parola finale spettava a Conte. Che sui militari a Nembro il 3 marzo si rimangiò la parola («La zona rossa costa troppo»). Quanti morti è costato questo stop and go? Sullo strano ritiro dei militari mandati a chiudere la Valseriana, richieste dall'Agi, vige il segreto di Stato. L'ex ministro Francesco Boccia il 4 marzo in Parlamento disse: «In caso di emergenza nazionale comanda lo Stato». Il re sòla che in pandemia decise anche quando far nascere Gesù Bambino («Se il Natale si festeggia due ore prima non succede niente», fu l'incauto diktat) ribadì L'Etat c'est moi. Cioè lui, Conte e il filocinese Roberto Speranza. Che della pandemia sapeva da tempo (lo scrive lui nel libro Perché guariremo, sparito clamorosamente), che cambiò in corsa le regole sui tamponi mandando in vacca il tracciamento, che sconsigliò le autopsie, inchiodando la cura domiciliare alla «tachipirina e vigile attesa».

Per non parlare delle mascherine farlocche del commissario all'emergenza Domenico Arcuri sdoganate allegramente. La gente moriva mentre alcuni intermediari ingrassavano il portafogli. Il Pd si dava all'alcol e non disturbava i suoi finanziatori Ma la colpa è di Fontana, come no.

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