«Le presentazioni non servono a un c…». Alzi la mano lo scrittore che non si è sentito dire questa frase dal suo editore. È il primo equivoco che frustratissimi editor si premurano di chiarire a giovani (e meno giovani) scrittori esordienti e megalomani: «Funzionano solo quelle dove vengono amici e parenti». Gli asociali sono avvisati.
A parte quel pugno di nomi che, per copie vendute sul campo, si sono guadagnati la presenza fissa agli eventi editoriali di primo piano della Penisola - dal Salone del Libro di Torino al festival di Mantova, passando per Pordenonelegge, Massenzio a Roma, Collisioni a Barolo…, dove la gente, attratta dai grandi nomi, si sorbisce anche qualcuno dei piccoli, più che altro per tenerezza - tutti gli altri dovranno sudare sette camicie per auto-organizzarsi tour in piccole librerie di piccolissime cittadine, megastore in desolate periferie, festival senza idee e senza budget (e senza pubblico) nella speranza di «far circolare il nome» e far pentire un po' meno l'editore dell'incauta e antieconomica pubblicazione.
Chiunque abbia dato alle stampe il proprio libercolo sa benissimo di che penosa attività si tratti, quante gastriti e pensieri suicidi si accumulino, quante poche copie si vendano.
Ma perché le presentazioni non funzionano? Solo perché «la gente non legge più» come ci ripetiamo fino allo sfinimento, dati alla mano? Per quanto folle possa apparire, standoci dentro, con le dovute eccezioni (rare, preziose, commoventi) l'impressione è che nell'industria del libro nessuno voglia davvero vendere i libri alle presentazioni o sia minimamente interessato a far essere economicamente sostenibile il mercato dei libri. A cominciare dagli scrittori, generalmente figure talmente disperate da girare l'Italia - spesso a proprie spese - pur di sentirsi tali. Facciamo due conti: incassando mediamente il 10% lordo del prezzo di copertina, per un libro da 15 euro - fa un euro e cinquanta a copia - nell'inverosimile ipotesi che se ne vendano 50, intascheranno 75 euro. Lordi. Togliendo biglietti dei treni, alberghi e rinfreschi (offerti da loro stessi per attirare un po' di pubblico) il passivo del conto costi/benefici di una presentazione è inevitabile. Ma, visto che 15 persone tra il pubblico sono già considerate un numero dignitoso, e la media di copie vendute è di 1 ogni 4 presenti… più che di un semplice passivo si tratta di una catastrofe finanziaria che dimostra due incontrovertibili verità sugli scrittori: sono ricchi di famiglia. Sono degli inguaribili masochisti.
Li seguono a ruota gli editori. In Italia si pubblicano quasi 300 libri al giorno. La maggior parte dei quali, naturalmente, non esiste neanche per un minuto sul mercato. Invece di fare selezione, pubblicare solo testi il cui valore artistico renda conveniente l'investimento promozionale perché possano essere conosciuti (e acquistati) dal pubblico, gli editori preferiscono pubblicare TUTTO. O quasi (gli scrittori rifiutati, comprensibilmente indignati, si autopubblicano on line, facendo così indignare i pubblicati, e aumentare la confusione). Questi militi ignoti soccombono uno a uno, al grido «uno su mille ce la fa» (in realtà il rapporto tra sommersi è salvati è molto più apocalittico). Ed ecco spiegata l'origine di questa Armata Brancaleone che si aggira per pro loco e sale parrocchiali trascinandosi dietro le proprie copie in stipatissimi trolley che resteranno pesanti come macigni fino al triste rientro a casa.
Altri correi, gli uffici stampa. Dovrebbero promuovere i libri. Ma i libri sono troppi e troppo brutti. Così li leggono raramente e propongono solo alcune eccezioni, abbandonando di regola tutti gli altri. Si limitassero a questo, andrebbe anche bene. Ma quando predispongono il «live twitting» delle presentazioni («Tizio ha appena ricordato di quando la nonna lo prendeva a scapaccioni») toccano il punto più basso della loro carriera, facendolo toccare anche ai loro autori, che perderanno anche quei quattro lettori che avevano a colpi di hashtag imbarazzanti (#lamoredolorepersemprenelmiocuore) e citazioni improbabili («Malano è la mia città italiana preferita»).
Ma i principali responsabili della disastrosa farsa delle presentazioni sono le due figure professionali più beatificate del campo culturale: organizzatori di eventi e librai. I primi, pretenziosi e maneggioni, non fosse per sponsor e sussidi - di cui spesso si intascano più o meno laute percentuali - non metterebbero insieme neanche il numero sufficiente per un tavolo a briscola. Quelli più onesti, con meno tresche politiche, sono quasi sempre i più emarginati. In un campo in cui le pubbliche relazioni sarebbero tutto, sono i più anonimi di ogni cittadina. Viene il dubbio che organizzare presentazioni di libri sia un pretesto per fuggire da una routine coniugale poco entusiasmante, o vincere la maledetta solitudine. I secondi, specie quelli indipendenti, beh, sono considerati praticamente dei santi. Raramente leggono i libri di autori sconosciuti, però si fingono del tutto indifferenti ai bestseller (anche se chiedono sempre agli autori sconosciuti che non hanno letto se per caso non conoscono il famoso Tizio o Caio e se non saprebbero convincerlo a organizzare lì una presentazione). Tra le loro migliori qualità si annoverano: l'aspettativa che l'autore sconosciuto porti gente rivelandosi molto più famoso di quel che è, il rinfaccio del trafiletto sul giornale di provincia con data e ora sbagliate ottenuto grazie alle loro «conoscenze», lo scuotimento di testa per le loro miserie economiche che attribuiscono alla televisione (anche se vendono solo i libri pubblicizzati da Fazio) e al «ventennio berlusconiano».
In questa girandola di treni regionali, passaggi in Vespa, spericolate corse in trattori per luoghi sconosciuti anche agli stessi abitanti, salatini fatti in casa da matrone locali («Questi li ha preparati la prozia della Presidentessa del club della lettura sotto i tigli»), manufatti di artigiani locali («Ad opera di Mastro Pirro, guardi, con gli stuzzicadenti raccolti alla casa di riposo riesce a fare miracoli») elargiti come preziosi omaggi e presentatori locali semianalfabeti (per questo non hanno letto il libro che presenteranno) presentati come esperti di presentazioni, gli autori perdono la gioia di vivere e non di rado il senno. Ma il colpo finale al loro ego lo sferra il pubblico: scarso, disinteressato, assonnato. Con due sole eccezioni. I pazzi, che non mancano mai.
E gli aspiranti scrittori locali (quei pochissimi respinti dagli editori seri che non si sono ancora risolti a pagare gli editori truffaldini), con voluminosi manoscritti branditi come armi improprie e richieste di contatti e consigli sotto forma di velate minacce («Ha visto che bello strapiombo c'è sulla passeggiata?»).Resta il mistero: ma se le presentazioni non funzionano, perché si continuano a fare?
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