Processo Dell'Utri, 14 anni dopo l'avvio dell'inchiesta

Un processo interminabile. Sette anni il primo grado, quattro il secondo. Il 2 gennaio del 1996 la Procura di Palermo apre un’inchiesta su Marcello Dell’Utri, in seguito alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Tullio Cannella. Ecco tutto l'iter giudiziario

Processo Dell'Utri, 14 anni dopo l'avvio dell'inchiesta

Palermo - Un processo interminabile. Sette anni il primo grado, quattro il secondo. Il 2 gennaio del 1996 la Procura di Palermo apre un’inchiesta su Marcello Dell’Utri, in seguito alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Tullio Cannella. Il processo, apertosi il 5 novembre del 1997, si conclude dopo 256 udienze. Ben 270 i testimoni ascoltati, e fra loro una quarantina di collaboratori di giustizia, da Salvatore Cancemi a Francesco Di Carlo, fino a Gaspare Mutolo, Nino Giuffrè, Giovanni Brusca e Tommaso Buscetta, quest’ultimo sentito come teste della difesa. È Cancemi a fare le prime dichiarazioni su Dell’Utri già il 18 novembre del ’94.

Il fascicolo Dell'Utri Viene così aperto il fascicolo-contenitore numero 6031/94, in cui confluiscono via via moltissimi atti processuali, fino a formare un dossier processuale di centinaia di migliaia di pagine. In quest’ambito Silvio Berlusconi è indagato per cinque volte, e altrettante sono le archiviazioni decise dalla procura. Per Dell’Utri i pm Antonio Ingroia e Domenico Gozzo chiedono 11 anni; 9 anni per Gaetano Cinà, presunto mafioso di Malaspina, incensurato ma considerato il trait-d’union di Cosa Nostra tra Palermo e Milano.

Il condanna in primo grado La sentenza di condanna di primo grado a 9 anni a carico di Dell’Utri, per concorso esterno in associazione mafiosa, è emessa dal Tribunale di Palermo presieduto da Leonardo Guarnotta l’11 dicembre del 2004, dopo 13 giorni di camera di consiglio. Con Dell’Utri viene condannato a 7 anni l’altro imputato. Nelle motivazioni di 1.768 pagine della prima sentenza, il collegio presieduto da Leonardo Guarnotta è perentorio: "La pluralità dell’attività posta in essere da Marcello Dell’Utri, per la rilevanza causale espressa, ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di cosa nostra, alla quale è stata, tra l’altro offerta l’opportunità, sempre con la mediazione di Marcello Dell’Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti della economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che politici". E i giudici che hanno preso in esame "fatti, episodi ed avvenimenti dipanatisi dai primissimi anni ’70 e fino alla fine del 1998", sottolineano "la funzione di garanzia svolta da Dell’Utri nei confronti di Berlusconi, il quale temeva che si suoi familiari fossero oggetto di sequestri di persona, adoperandosi per l’assunzione di Vittorio Mangano ad Arcore, quale 'responsabile' e non come 'mero stalliere'".

Il processo d'appello Il 30 giugno del 2006 parte il processo d’appello davanti alla corte presieduta da Claudio Dall’Acqua. A sostenere l’accusa, il pg Antonino Gatto. E Marcello Dell’Utri davanti ai giornalisti va all’attacco e parla di "accuse politiche" contro di lui. "L’accusa di primo grado era politica. Era un accusa politica e lo ritengo oggi in maniera più certa di quando il processo iniziò. Mi aspetto dal processo d’appello la famosa giustizia". La corte respinge la richiesta tanto dei difensori, quanto del procuratore generale, di ascoltare Silvio Berlusconi che nel processo di primo grado si era avvalso della facoltà di non rispondere. Per il procuratore generale sarebbe provato e si sarebbe concretizzato "il patto di scambio fra Cosa Nostra e Dell’Utri, già riconosciuto fondato dai giudici di primo grado".

I verbali di Spatuzza Nel 2009 piombano sul senatore del Pdl i verbali del dichiarante Gaspare Spatuzza: "Abbiamo ottenuto quello che volevamo: abbiamo il Paese in mano. E non sono stavolta quei crastazzi dei socialisti, ma Silvio Berlusconi e il nostro compaesano", avrebbe detto a metà gennaio del 1994 il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano a Spatuzza che entra ufficialmente nel processo il 4 dicembre nell’udienza di Torino: Nell’incontro al bar Doney di via Veneto, "Graviano mi disse che chi ci garantisce 'è quello di Canale 5' e che tra i nostri referenti 'c’era un nostro compaesano', cioè proprio Dell’Utri. Una settimana dopo, l’11 è il momento dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano che non confermano le dichiarazioni di Spatuzza. Intanto, il 26 febbraio dal processo Mori Massimo Ciancimino riferisce che 'Dell’Utri sostituì don Vito, nella presunta trattativa tra Stato e mafia' e che è lui il 'senatore' citato nei pizzini che il padre si scambiava con Provenzano, anzi tra il politico e il padrino c’erano contatti diretti". È un fatto che il 5 maggio il collegio che giudica Dell’Utri rigetta per la seconda volta la richiesta di ascoltare Ciancimino giudicandolo contraddittorio e sostanzialmente non credibile. "Dell’Utri contribuì alla trattativa e Provenzano si fidava di lui", dice nella requisitoria il Pg che alla fine chiede la condanna a 11 anni per l’imputato.

I giudici in camera di consiglio I giudici entrano in camera di consiglio il 24 giugno. Qualche giorno prima, il 18, un passaggio singolare, a sottolineare che questo non è un processo normale.

"Siamo indifferenti alle pressioni medianiche e rispondiamo solo di fronte alla legge e alla nostro coscienza", afferma, con un’iniziativa quanto meno insolita, la seconda sezione della Corte d’appello che prende posizione rispetto alle polemiche che hanno indirettamente investito i tre componenti del collegio. Oggi la sentenza, arrivata quasi esattamente quattro dopo.

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