Alessandro M. Caprettini
da Roma
Nel consueto rito diplomatico delle parole ascoltate ieri alla Farnesina ce ne sono alcune di un certo rilievo che sono state pronunciate a voce alta e chiara. E altre che sono state solo sussurrate ma che - a guardar bene - costituiscono invece di gran lunga il problema dei problemi e che forse varrebbe la pena discutere meglio. Magari nell’aula delle Camere. Le prime riguardano la forza d’interposizione multinazionale che, sotto egida Onu, deve prendere il possesso del territorio a sud del Libano per garantire sicurezza a Israele e pace al Libano. «L’Italia è pronta e decisa a parteciparvi», ha esordito nitidamente Romano Prodi. «Prontissimi a contribuire al dispiegamento di una forza internazionale di pace a sud del Libano, nel rispetto della risoluzione 1559 delle Nazioni Unite», gli ha fatto eco, altrettanto chiaro, D’Alema.
Il quando è ancora una incognita. Serve, a giudizio unanime del summit, una nuova presa di posizione del Palazzo di vetro. «Si discuterà nei prossimi giorni», ha assicurato Condoleezza Rice. Kofi Annan è parso un pizzico scettico, ma il comunicato congiunto varato al termine delle 3 ore e mezza di confronto parla in effetti di «autorizzazione urgente sotto mandato Onu». Ma è a questo punto che al detto s’incrocia il sussurrato che apre scenari con non pochi interrogativi.
Perché, stando a quel che si è ascoltato ieri tra i protagonisti, ma anche a quello che filtrava da capitali europee e medio-orientali, non è che si tratti di inviare soldati che si limitino al peacekeeping, ma di spedire truppe che aiutino i libanesi a disarmare le varie milizie che infestano il paese, a cominciare da Hezbollah. Possibile che un governo di centro-sinistra che ha fatto del ritiro delle nostre truppe in Irak - che pure si limitavano al controllo del territorio senza obbligo d’impegni bellici - il fiore all’occhiello della sua campagna elettorale, decida ora di inviare truppe che potrebbero scontrarsi con le milizie sciite? «Bisogna dare attuazione alle risoluzioni Onu che prevedono tra l’altro il disarmo di tutte le milizie che operano nel Libano», conferma D’Alema. Che aggiunge: «Senza lo sradicamento del terrorismo non è possibile giungere a nessuna pace duratura nella regione».
E in effetti, nonostante l’addio all’Irak e la protesta della sinistra radicale per l’Afghanistan, Prodi e D’Alema ieri un impegno sembrano averlo preso. E non di poco conto. Perché son pochi a ritenere che i miliziani di Hezbollah possano consegnare spontaneamente le armi. E pochissimi che ritengono le forze libanesi capaci di sequestrargliele. Del resto un diplomatico Usa al seguito della Rice, Alberto Fernandez, confermava ieri mattina come l’ipotesi che si va seguendo in queste ore è quella di piazzare 10mila uomini, egiziani e turchi, al momento del cessate il fuoco, e aumentare il contingente a 30-40mila subito dopo. «Non è importante in questa fase - spiegava Fernandez - chi farà parte del contingente... quello che interessa è che sia una forza robusta ed efficace, diversamente dall’Unifil, e che soprattutto sia capace di combattere. Meglio se non si dovrà farlo, ma se occorrerà, se ne dovrà avere la capacità».
Di 30-40mila uomini parla anche un generale della Bundeswher, Hermann Hagena, chiarendo come «per il disarmo di Hezbollah non sono sufficienti 2 o 3 battaglioni, mentre sarà invece necessario perquisire centinaia e centinaia di case». Proprio la Germania comunque ha dubbi sull’intervento. La Spagna sarà della partita, come la Francia (che reclama il comando).
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.