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Il provocatore che attacca anche il suo partito

Roma Capello lungo e arruffato, gestualità ridondante e oratoria barocca, arricchita dall’accento napoletano. Proprio per quella pettinatura un po’ selvaggia qualcuno lo ha paragonato, con un bell’azzardo, addirittura al Mel Gibson di Bravehart. Per Franco Barbato, insomma, sarebbe impossibile passare inosservato anche se lo volesse. Ma dall’inizio della sua carriera politica questo cinquantenne campano ha comunque fatto di tutto per essere notato, sempre. Da quando è stato eletto poi si fa notare soprattutto per i suoi insulti al governo ed in particolare al premier, Silvio Berlusconi, definito a seconda delle occasioni dall’onorevole Barbato: «mafioso», «delinquente», «mago Zurlì» e «buffone». Nato nel 1956 a Camposano, in provincia di Napoli, Barbato ne è poi diventato il primo cittadino dal ’92 al ’98. La sua carriera politica compie un balzo verso la ribalta nazionale quando nel 2003 fonda insieme con Roberto Alagna il Governo civico. Poi nel 2007 nasce la Lista Civica nazionale e di lì alle politiche del 2008 scaturisce la sua candidatura come indipendente con l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Una volta entrato a Montecitorio Barbato si fa notare per i suoi continui attacchi al governo, sì, ma pure al leader del suo stesso partito. A Barbato infatti non piace essere il numero due e dunque immediatamente si candida, pur militando nel partito di Di Pietro come «l’anti Di Pietro». È proprio lui infatti a sollevare per primo la questione morale all’interno dell’Italia dei Valori in Campania. Barbato attacca il segretario regionale del partito Nello Formisano adombrando ambigue vicinanze con personaggi poco puliti. Accuse subito respinte da Formisano che a sua volta addebita a Barbato un’equivoca vicinanza con Giuseppe Gambale, ex assessore finito poi in carcere nell’ambito dell’inchiesta Magnanapoli. Barbato lancia accuse contro tutti ma qualcuna gli ritorna addosso come un boomerang. Nel giugno del 2008 mentre alla Camera si discute il decreto Alitalia Barbato accusa esplicitamente Mario Landolfi, Pdl, di essere stato eletto coi voti della camorra. Non basta. Nel gennaio scorso Barbato richiama il nome di Americo Porfida, Idv, accusato di associazione mafiosa e ricorda come Porfida abbia spesso preso le difese di Landolfi. Quest’ultimo replica e tira fuori un’interrogazione presentata dallo stesso Barbato al ministro dell’Interno. Interrogazione in cui Barbato invoca tutela per tal Gaetano Manna, presidente dell’associazione anticamorra Acli. Subito dopo è proprio Manna a finire nel mirino della polizia e il 31 marzo scorso viene arrestato per truffa. A quel punto tocca a Barbato dare spiegazioni: nega di aver avuto contatti con Manna, spiegando che gli era stato segnalato dalle Acli di Napoli.

Un bel pasticcio che non impedisce però a Barbato di continuare ad attaccare a testa bassa governo e compagni di partito. Fino a ieri. Le rogne per Barbato non finiscono qui visto che in questi giorni si terrà l’udienza per la causa intentatagli dalla sua ex collaboratrice Liliana, licenziata in tronco dopo mesi di lavoro in nero.

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