L’Unione economica euroasiatica perde, almeno per il momento, l’Europa e prova ad allargarsi in America. Vladimir Putin, nel viaggio verso Rio de Janeiro per il passaggio di consegne tra il Campionato del Mondo di calcio del Brasile ed il prossimo in Russia, si ferma a Cuba ed offre all’Avana la chance di entrare a far parte della minialleanza economica che, per ora, comprende solo Russia, Bielorussia e Kazakhstan. In attesa di eventuali allargamenti agli altri Paesi centroasiatici ex sovietici.
Una scelta obbligata, quella di Putin. Che aveva puntato sull’Ucraina come snodo dell’alleanza tra Asia ed Europa, tra l’Occidente del Vecchio continente ed i vecchi satelliti dell’impero sovietico. Kiev, economicamente, non è un affare per chi se ne farà carico. Ma sarebbe stata fondamentale per il progetto di Mosca e di Astana, gli unici partner economicamente forti dell’Unione euroasiatica. Anche nella prospettiva di un allargamento a Uzbekistan, Kirghizistan, Tagikistan. Venuta a mancare l’Ucraina, e l’espansione ad Ovest, Putin ha riscoperto quell’America Latina che il Paese dei Soviet aveva colpevolmente trascurato, giocando solo sulla presenza strategica di un regime “amico” a Cuba.
Ora all’Avana c’è il vecchio Fidel Castro che sopravvive a se stesso ed il fratello Raul che cerca di avviare una transizione verso una meta poco chiara. Putin è sbarcato regalando 28 miliardi di dollari, cancellando cioè il 90% di un debito che Cuba non avrebbe comunque mai pagato. Un gesto simbolico e nulla più. Ma anche i gesti hanno importanza. Come la proposta di coinvolgere Cuba in un’Unione economica tra Paesi lontani. L’isola, però, potrebbe rappresentare solo una testa di ponte per favorire un’alleanza più ampia, in grado di coinvolgere altri Paesi del LatinoAmerica. A partire dal Nicaragua, per proseguire con Venezuela, Bolivia, Ecuador. Ma anche l’Argentina strangolata dai “fondi predatori” nordamericani. E con Buens Aires l’intesa è agevole anche in merito alla vicenda ucraina. La “presidenta” Cristina Kirchner ha paragonato i diritti di Mosca sui territori russofoni in Ucraina con i diritti argentini sulle Malvinas: isole geograficamente argentine ma controllate da Londra. Un contenzioso che rischia di allargarsi, in cambio del sostegno latinoamericano (anche il Nicaragua è d’accordo) a Putin nel braccio di ferro con Kiev. Ma il viaggio di Putin in cerca di partner economici punta anche sul Brasile che dovrà affrontare notevoli problemi sociali come conseguenza delle spese folli per i Mondiali di calcio e per le prossime Olimpiadi, senza neppure il conforto dei risultati sportivi.
Per la Russia, tuttavia, non sarà proprio una passeggiata. La Cina è già sbarcata in forze, con 110 miliardi di dollari di investimenti nei prossimi 7 anni in tutta l’America Latina. Una cifra in grado di condizionare i governi locali in misura maggiore rispetto a vecchie appartenenze ideologiche che non esistono più con Mosca. Putin, però, ha in vantaggio di rappresentare un pericolo minore per l’autonomia dei Paesi latinoamericani. Un amico meno forte e meno invadente rispetto ai signori di Pechino. Senza dimenticare le profonde diversità nell’area. Differenze ideologiche, etniche, sociali. La costiera del Pacifico sta crescendo a ritmi superiori rispetto ai Paesi della costa atlantica.
Ma proprio le differenze possono concedere ai contendenti di avere un ruolo in alcuni Paesi pur senza controllare l’intera America Latina. Perlomeno sino a quando la Russia riuscirà ad evitare l’abbraccio mortale di Pechino verso cui è stata spinta dalla crisi ucraina.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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