«La quadra con Gianfranco? Spero, ma non dipende da me»

RomaQuando a ora di pranzo Gianfranco Fini avrà finito (forse) di istruire i suoi per la battaglia politica di giovedì, Silvio Berlusconi avrà iniziato a discutere del processo di pace in Medio Oriente. Il primo a Montecitorio con i fedelissimi, in vista della direzione nazionale del Pdl, il secondo a Palazzo Chigi, durante una colazione di lavoro con il primo ministro libanese, Saad Rafic Hariri. È una premessa che fa rima con coincidenza, sia chiaro, niente di più. Perché al di là delle sovrapposizioni, ciò che conta, sul versante interno, è che il Cavaliere non arretra d’un millimetro sulla linea già impartita. Fosse per lui, infatti, farebbe addirittura calare il sipario sulla lacerazione avviata dal co-fondatore pidiellino. Ma non si può. E allora sbuffa, il Cavaliere, quando è costretto, in privato, a tornare sull’argomento. «Non ho capito a cosa punta davvero Gianfranco, non mi ha fatto una richiesta specifica. Ma faccia pure - avrebbe confidato - se vuole far nascere il suo partitino del 4%...». Così, «lui avrà la sua azienda e sarà forse un bene pure per la maggioranza».
Sfogo a parte, è un premier «in tranquilla attesa», quello descritto da chi ha modo di incontrarlo ad Arcore, anche quando viene invitato a ragionare sui paletti posti dal presidente della Camera. Questioni, va detto, di cui il Cavaliere non riesce a comprenderne fino in fondo la ratio. Tanto che nelle confidenze riservate ai suoi, così come nei colloqui con chi lo contatta nel tentativo di ricucire lo strappo (in particolare Gianni Alemanno ed Altero Matteoli), continua a ripetere di avere poco o nulla da aggiungere.
Entra invece nel merito a Porta a porta (intervista registrata sabato scorso, messa in onda ieri sera). Si troverà dunque la quadra con Fini? «Speriamo di sì, ma non dipende da me», risponde il presidente del Consiglio, che aggiunge: «Non si tratta di rimproverare niente e nessuno, ma di superare momenti negativi, che non hanno però fondamento alcuno nella realtà del nostro partito». Quel Pdl «democratico, che ha avuto un congresso trasparente, ha approvato uno statuto che affida ai differenti organi di partito la responsabilità di certe decisioni». D’altronde, rivendica, «questo finora è sempre avvenuto con successo, anche perché il Pdl ha vinto tutte le elezioni in cui è sceso in campo».
Ciò detto, «tutto si può migliorare, come è logico che sia, ma credo che non si possa prescindere dal sistema della democrazia delle decisioni, che è stata adottata dal partito». Senza contare che «il Pdl è nato con l’ambizione di rappresentare tutti gli italiani che non si riconoscono nella sinistra» e «parlare di scissione mi sembra il contrario di questa volontà e aspirazione». Così come «ritorni al passato o a formule politiche come quelle di alcuni nostri componenti, che non prevedevano la democrazia perché c’era un leader che decideva tutto non sono possibili». A chi si riferisce? Non lo nomina, ma pare chiaro il riferimento proprio a Fini.
D’altronde, nei suoi colloqui privati, in merito all’importanza delle scelte democratiche, ricorda: «Lo dico io che ho dovuto accettare decisioni che non mi convincevano affatto». Vedi, ad esempio, l’alleanza con l’Udc alle Regionali e lo stop alla Poli Bortone in Puglia. Quindi, «non ci sono concessioni da fare - ribadisce ai suoi interlocutori -. Discutiamo pure, se serve, ma a nessuno venga in mente l’ipotesi di mettere su una diarchia. Vuole fare una componente di minoranza? L’importante è che si adegui sempre alla maggioranza».
E visto che a scatenare la reazione di Fini è stato pure il forte legame con Bossi, leader di una Lega che avrebbe causato l’appiattimento del Pdl, Porta a porta stuzzica il premier anche sul suo rapporto con il Senatùr. Ecco il virgolettato: «Umberto è l’unico alleato che abbiamo, ha sempre dimostrato saggezza, acutezza politica e assoluta lealtà». Tanto da potersi augurare, col sorriso tra le labbra, «che Dio ce lo conservi, come sicuramente sarà».
Al di là dei distinguo del caso («giovedì dovranno finire», chiede con forza Berlusconi), sullo sfondo rimane l’ipotesi di un possibile riavvicinamento, magari attraverso un documento unitario da approvare all’assise di giovedì. Ma basterebbe a ritrovare la serenità? Forse no, secondo Osvaldo Napoli: «Un divorzio evitato è un bene in sé, ma poi si tratta di riprendere un’esistenza comune condividendo obiettivi e orizzonti», visto che «il tirare a campare non giova alla salute di un’unione né può rinsaldarla nel tempo». Per capirci, senza il progetto originario, «allora è interesse reciproco, di Fini e di Berlusconi, recuperare la propria libertà di azione».

Non ritira certo la mano Giorgio Stracquadanio: Fini «sperava nella sconfitta del Pdl», ma dopo «l’ennesimo miracolo berlusconiano, ha compiuto una manovra d’emergenza, patrocinando una scissione» su cui «nessuno l’ha seguito». Ora «è in mezzo al guado», si legge sul Predellino.it, ed ha solo una via d’uscita: «O si piega o si spezza».

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