
Ci sono autori con cui il tempo non è galantuomo. Almeno sin che non arriva una curatrice molto brava come Maria Nadotti che li riporta nelle mani del pubblico, portando in libreria un piccolo capolavoro. Che nel caso specifico è anche una piccola apocalisse.
Si tratta di Presenza della morte (Feltrinelli) dello scrittore svizzero Charles-Ferdinand Ramuz (1878 - 1947) un romanzo uscito nel 1922 e assolutamente negletto nel nostro Paese. Partiamo dalla trama, che potremmo definire riduttivamente come fantascientifica.
Tutto inizia con un messaggio che attraversa l'oceano e che dagli Usa raggiunge l'Europa. «A causa di un incidente verificatosi nel sistema gravitazionale, la terra precipita rapidamente verso il sole e tende verso di esso per fondervisi: ecco che cosa annuncia il messaggio. Ogni forma di vita finirà. Ci sarà un calore crescente. Insopportabile per tutto ciò che vive. Ci sarà un calore crescente e rapidamente tutto morirà».
Eppure ancora nulla si sente e si percepisce nella realtà. Sembra solo un'estate molto calda con dei cieli incredibilmente azzurri. Persino sul lago di Ginevra il termometro sale continuamente ma quello che succede è solo che si diffonde una calma surreale, interrotta da fremiti violenti della natura: «Un gran vento caldo entrava dalle finestre, che tenevamo aperte giorno e notte. Soffiando da sud, cadeva su di noi con tutto il suo peso dall'alto delle montagne dirimpetto... Non c'era traccia di nubi. C'erano solamente quelle stelle così grandi, così bianche che il cielo era tutto nero. Stelle come lanterne di carta».
Poi lentamente la narrazione di Ramuz porta il lettore verso un incubo che si sviluppa pian piano, dove il calore e la paura macerano le relazioni umane. Una discesa dentro un Maelstrom che da tiepido diventa rovente. C'è chi scappa sulle cime delle montagne, chi si abbandona alla rabbia, chi cerca conforto nell'alcol o nell'amore. Ma tutto con la presenza della morte cambia colore, consistenza. «Lei mi ha mentito, io ho mentito a me stesso, tutto ha mentito... Viene della distanza tra noi, viene lo spazio e viene il tempo, sempre più spazio, sempre più tempo».
Il risultato è una narrazione di inquietante quiete, dove l'inevitabile domina. Come una precognizione di quel capolavoro che è Dissipatio H.G. di Guido Morselli. Una Dissipatio mischiata con una versione anni Venti del film Hollywoodiano Don't look up.
A rendere meraviglioso il libro è anche la prosa molto particolare di Ramuz, di cui da conto la curatrice Nadotti. Ramuz rifiuta il buon francese e si attiene al dialetto della svizzera romanda, la lingua spuria con cui è nato e cresciuto. Ripetizioni, temporalità sbilenche, un lessico scabro. Nadotti le ha riprodotte in italiano dando conto dell'effetto claustrofobico della narrazione che la lingua enfatizza. La fine del mondo arriva tra le valli e travolge chi non ha mai voluto guardare più in là del lago di Lemano.
Che nella sua fissità di acque già morte è uno dei protagonisti del romanzo. Un romanzo dove la natura si riprende tutto, incurante di uomini molto piccoli, abbarbicati all'apparenza della vita, anche quando è solo un riflesso, assolato, del nulla.
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