Così l'aratro Tech della Silicon Valley sta ribaltando il campo della ricerca. Sempre più riservata e sempre meno chiara

Un saggio di Gianfranco Pacchioni indaga la nuova frontiera dello sviluppo tecnologico. Dove i colossi mondiali privati agiscono senza alcun controllo politico e sociale

Così l'aratro Tech della Silicon Valley sta ribaltando il campo della ricerca. Sempre più riservata e sempre meno chiara

«Tutti quelli che fanno ricerca nel campo dell'intelligenza artificiale dovrebbero seriamente mettere in discussione l'avanzamento nella carriera accademica». Un augurio ben strano per un brindisi, ma nel party che si sta celebrando nel cuore della Silicon Valley pochi sembrano davvero dar peso a queste parole, pronunciate da un alto dirigente di OpenAI. Ma Fei-Fei Li, brillante professoressa a Stanford, dove dirige il laboratorio sull'intelligenza artificiale, e vicepresidente di Google, per cui ha diretto le ricerche sul machine learning, non solo le coglie, riportandole nel suo libro Tutti i mondi che vedo (Luiss University Press), ma si trova dolentemente a concordare. Ed è in certa misura uno spunto concettuale simile, la difficoltà di permanere nello spazio della ricerca pura e chiara, a costituire l'architettura portante del bel volume di Gianfranco Pacchioni Scienza chiara, scienza oscura. Ricerca pura, ricerca militare, Big Tech (Il Mulino).

Pacchioni, professore di chimica dei materiali all'Università di Milano-Bicocca, rileva infatti: «A parte forse qualche astronomo, non credo che la scoperta di un Quasar o di un buco nero abbia mai cambiato la vita quotidiana di nessuno», aggiungendo subito dopo come e quanto queste scoperte siano invece essenziali perché tra loro cospiranti determinano l'evoluzione del progresso tecnologico e scientifico. Da anni ormai, la ricerca è stata inghiottita in prevalenza da una visione che tende a ricondurla alla necessità di incidere, in maniera sensibile, sul quotidiano, spesso trasformando ciò che essa tocca in prodotto merceologicamente apprezzabile e, aggiungerei, anche politicamente visibile e capitalizzabile. Ricerca e innovazione, però, ed è qui il dato saliente dello studio di Pacchioni, risalite lungo il cono d'ombra di tre eventi epocali come la bomba nucleare, l'invenzione dei transistor e la scoperta della struttura del Dna, hanno iniziato ad assumere una fisiologia profondamente mutata; da un lato, la ricerca connessa a logiche militari, per definizione segreta, impermeabile a sguardi curiosi esterni, dall'altro una ricerca legata a logiche commerciali, come nel caso dei transistor, aperta alla scienza esterna ma divenuta poi gelosa delle proprie prerogative tese, mediante il riconoscimento normativo, alla non replicabilità, e infine una scienza chiara, accademica, pura. Il volume di Pacchioni dettagliatamente si sofferma anche su modelli aziendali di ricerca e innovazione sfocianti nel superumano, come Neuralink, OpenAI, di cui vengono ripercorsi i tormenti interni, le dispute etico-filosofiche, come nel caso dell'algoritmo Q*.

Libro esemplare per limpida chiarezza e, del pari, utilissimo per attraversare questo baudrillardiano deserto del reale in cui ci troviamo oggi; non c'è alcun dubbio infatti che il senso di eccitazione quasi pionieristica che pervade il mondo attuale, sospeso in una sorta di caliginosa febbre della frontiera, per cui le innovazioni diventano al tempo stesso strumenti di difesa, prodotti e innovazioni purissime nel loro scintillare dirompente, schiuda orizzonti tanto inebrianti (si pensi alle prospettive di cure mediche e di miglioramento delle condizioni di vita), quanto di potenziale annichilimento del genere umano, triturato nella morsa della super-intelligenza, per citare Bostrom, o di armi intelligenti sempre più evolute. È questa la scienza oscura, la scienza caldeggiata da grandi attori aziendali, le Big Five o, accedendo alla ricostruzione di Amy Webb che vi include anche giganti cinesi, le Big Nine, dell'alta tecnologia, il cui potere sopravanza quello statale. La scienza di queste società è oscura non solo perché sviluppata lontano dal controllo dell'opinione pubblica e dallo stesso dibattito accademico che ne viene a conoscere le risultanze solo ex post, ma anche perché del tutto estroflessa rispetto le decisioni del circuito politico-parlamentare; le ricerche sul nucleare tradotte nel Manhattan Project e nel seguente, drammatico, bombardamento sul Giappone furono comunque vagliate e decise da un potere che era democraticamente eletto.

Nel caso di Neuralink, OpenAI, Alphabet, Amazon, Meta, il processo di ricerca è del tutto introiettato e sigillato nel ventre profondo delle dinamiche aziendali, vincolato a clausole di assoluta riservatezza per scienziati e sviluppatori, reclutati grazie a stipendi principeschi che nessuno Stato potrebbe nemmeno lontanamente sognarsi di elargire. Si registra, anzi, una sorta di colonizzazione da parte del Tech dell'intero panorama del dibattito pubblico, della politica e della ricerca accademica. Uno studio condotto negli Usa, le cui risultanze emersero nel 2020, riportate sulle pagine di Wired, ha dimostrato come i dipartimenti scientifici delle quattro Università più importanti degli Stati Uniti fossero regolarmente finanziati, per una percentuale che all'epoca rasentava il 60 per cento dei finanziamenti complessivi, dalle grandi società del Tech. Quando il venture capitalist Marc Andreessen, uno dei più influenti della Silicon Valley e i cui collaboratori costituiscono l'ossatura portante del D.O.G.E. di Musk, affrescando il suo manifesto del Tecno-Ottimismo, apparso online nel 2023, cita l'accelerazionismo di Nick Land, elabora un peana del tecnodinamismo americano e della efficienza trasformata in divinità pagana, ci si schiude davanti gli occhi un nuovo fronte di immaginazione tecnologica, talmente spostato in avanti nella sua furiosa accelerazione da rendersi epitome della cecità del bianco assoluto evocata da Paul Virilio.

D'altronde Arthur C.

Clarke sosteneva che alta tecnologia e magia tendono a divenire sempre più indistinguibili l'una dall'altra, ed ecco emergere ciò che Pacchioni definisce il residuo insolubile, la sfiducia ormai ontologica di un crescente numero di individui nei confronti dell'autorità scientifica, una sfiducia determinata dalla impossibilità di metabolizzare uno sviluppo scientifico e tecnologico troppo accelerato.

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