Quella giravolta della presidente

Nelle ultime dichiarazioni di Emma Marcegaglia non colpisce tanto il contenuto, ma stupisce il tono. Per una che, sino a qualche giorno fa, diceva che l’articolo 18 non era "il problema", è una bella svolta

Quella giravolta della presidente

Nelle ultime dichiarazioni di Emma Marcegaglia non colpisce tanto il contenuto (la constatazione di come l’azione giurisdizionale italiana abbia modificato il senso dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori pensato per difendere dalle discriminazioni antisindacali, non per tutelare abusi eventuali di qualche dipendente): in fin dei conti anche Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti avevano proposto qualcosa di simile per tornare alla vera natura della legge Brodolini. No, stupisce il tono: i sindacati che vogliono proteggere ladri e fannulloni. Per una che, sino a qualche giorno fa, diceva che l’articolo 18 non era «il problema», è una bella svolta. Naturalmente ciascuno è padrone di cambiare idea. Avere constatato come il governo Monti voglia fare sul serio può avere dato coraggio al capo (ormai in uscita) degli industriali. Può darsi che in una fase di trattativa così dura si ritenga utile alzare la voce per dare più spazio alle mediazioni. Sia come sia, quel che bisognerebbe evitare è la sensazione che prese di posizione così impegnative siano assunte per ragioni minori di potere. Marcegaglia aveva inaugurato il mandato con un’azione riformatrice di respiro, arrivando a siglare con diverse organizzazioni datoriali e con Cisl e Uil (senza Cgil) un importante accordo sulla contrattazione aziendale agli inizi del 2009, dando spazio a Sergio Marchionne per realizzare importanti accordi sulla produttività a Pomigliano e poi a Mirafiori. La presidente della Confindustria che aveva acquisito la leadership anche criticando la tendenza consociativa della Fiat a detrimento della produttività, invece di valorizzare la svolta del Lingotto, aveva fatto alcune mosse di rincorsa di una torpida Cgil, assai condizionata dagli estremisti della Fiom (la sua federazione dei metalmeccanici), con qualche risultato anche positivo, ma scoprendo la prima impresa industriale privata quando il governo aveva fatto approvare, nell’agosto del 2011, una norma che legittimava gli accordi aziendali tipo quelli fatti da Marchionne. Questi, preso atto di tali comportamenti, aveva fatto uscire l’impresa da lui guidata da Confindustria. Infilatasi in contraddizioni non ben comprensibili se non per minori dinamiche di potere, Marcegaglia aveva accentuato il carattere politico dell’azione dell’organizzazione che presiedeva, accampando un ruolo decisivo nel varo del governo Monti. Ora, però, i fatti hanno la testa dura e finiti i giochetti di potere si torna al merito delle questioni: tra le quali il distorto sistema di tutela del lavoro costruito più da certi pretori che dai legislatori.

Gli spazi per i giochetti con la Cgil si chiudono, la nuova Fiat che si occupa di produzione invece che di politica acquisisce centralità (anche grazie a cari amici come Mario Monti e Corrado Passera), l’idea di sostituire un serio lavoro programmatico con l’invasione dei compiti di governo e Parlamento, evapora. Al di là dei toni (che meglio sarebbero composti di questi tempi) i contenuti diventano ineludibili.

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